Il repertorio di Melania Fiore, giovane e valente attrice e drammaturga, romana di adozione, si arricchisce di un altro personaggio. Dopo le donne che corrono coi lupi come Mary Shelley, come la Rosa di una Calabria ribelle contro la ‘Ndrangheta (di chi scrive), la Castellana immersa in un mondo di segreti dark di Giuseppe Manfridi e i personaggi della propria drammaturgia come la Partigiana, eccola cimentarsi con una figura della tragedia greca, Antigone.
Il moto di ribellione di Antigone contro le leggi dello Stato in nome di una legge morale legata al sentimento, è reso da Melania con convincente forza di persuasione al punto che la sua Antigone segregata in una grotta per aver osato opporsi al volere regale si trasforma in un atto di accusa contro il dettato della legge ingiusta. La vicenda è ben nota e deriva dalla tragedia di Sofocle, qui rielaborato da Alessandro Pertosa. Il cadavere del fratello di Antigone, Polinice, deve essere dato in pasto ai corvi e lasciato marcire piuttosto che trovare dignitosa sepoltura. Ha ucciso il fratello in una disputa per il potere, ha disobbedito al volere di Creonte sul futuro del trono e ciò compiendo ha messo a repentaglio la sicurezza dello stato della città di Tebe. Antigone non accetta la crudeltà della decisione che intende punire e straziare anche il cadavere del reo, di qui il dissidio tra morale e etica, tra stato e individuo.
Come accennato l’Antigone di Melania Fiore ribalta la situazione è piuttosto che difendersi per salvarsi contrappone a Creonte la superioritá della morale individuale contro l’etica pubblicato.
Il testo di Pertosa rielaborando il classico si chiude tuttavia in un cerchio abbastanza ripetitivo della situazione iniziale risultando alla fine irrisolto.
Vero è che il lavoro è presentato come una situazione onirica come un incubo che ha luogo senza spazio e senza tempo nei meandri della mente di Creonte, ma il tono declamatorio fa pensare più ad un vero e proprio atto di accusa contro Creonte piuttosto che a un ribello interiore.
Infatti l’interpretazione di Giorgio Sebastianelli si allinea a metà strada tra lo scontro dialettico con Antigone e l’arringa che sembra voler trasformare il pubblico in una sorta di giuria senza però prendere una strada decisa e precisa. Insomma tutt’altro che un monologo interiore a due voci.
La regia di Andrea Anconetani opta allora per una soluzione che intende riportare ad una situazione tragica classica con una scena che allude ad uno spazio circoscritto come un tempio (o un circo dell’anima sforzandosi di interpretare il significato di alcuni oggetti sferici disseminati sul piccolo palcoscenico), lasciando allo spettatore il compito di decifrare il tema dell’attualità di Antigone. E in definitiva il senso di questa operazione drammaturgica che nel vuoto totale avrebbe trovato un segno più netto dello spazio mentale e della struttura concentrica del lavoro col suo ritorno al chiodo fisso e al senso di colpa.
Enrico Bernard