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La superstizione dello jettatore in “La famiglia Malocchio” all’Anfitrione

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La compagnia teatrale “la Plautina” diretta con acuta competenza e perfetta scansione ritmica, scelta di commedie brillanti dal Maestro Ammirata, compie quest’anno 40 e purtroppo il bravo e diligente Sergio è costretto a celebrare la lieta ricorrenza da solo in quanto la sua dolce consorte Patrizia Parisi, che aveva conosciuto e sposato durante i 6 anni dell’inizio dell’attività recitativa alla Balduina in via Marziale, l’ha precocemente lasciato per un triste destino. Sta cercando di superare il lancinante dolore raddoppiando gli sforzi e la passione per l’impresa teatrale, che è il surrogato della vita con la sua riproduzione della realtà, come specchio dei vizi e delle virtù dei tipi umani, rimandi illusori e sarcasmo irrisori con il dono dell’immaginazione per accrescere la cultura e perciò il teatro non morirà mai a differenza di noi. In questa linea teorica e fonte d’ispirazione, Ammirata dopo aver affrontato diversi autori classici e moderni, da Aristofane a Plauto, cui è dedicata la sua formazione attoriale, Molière, Shakespeare e Cechov, ha deciso di riversare la sua attenzione sul sommo drammaturgo nostrano del XX secolo, ovvero l’agrigentino Luigi Pirandello con il suo relativismo filosofico e le morali novelle sarcastiche contenute nella raccolta “Cento Novelle per un anno “ edite postume. Il titolo della miscellanea è “La famiglia Malocchio” in quanto il genitore Chiarchiaro, interpretato da un efficacissimo ed arguto Ammirata, tutto vestito di nero viene ritenuto uno che porta scarogna, sfiga, sfortuna e lui ci vuole guadagnare sopra dalla denuncia dei suoi concittadini, poiché questo gli permetterebbe di praticare un lavoro sicuro, sarebbe un affare. I suoi parenti e familiari non sanno da che parte stare : da un latola sua innocenza ed assoluzione salverebbe l’onore e la reputazione del nucleo domestico, dall’altra con la condanna non ci sarebbe più da preoccuparsi per la sopravvivenza giornaliera. Ecco dunque che la messa in scena risulta finta, artificiosa, complessa e corale con una ridda di voci che derivano dalle varie novelle esaminate, quali “La patente” e “Cecè”, per poi sconfinare nell’atmosfera drammatica con l’apparenti figure dalle cangianti concezioni e pretese identitarie di “Sei personaggi in cerca d’autore”. Compare la personalità dello stesso scrittore incarnato con il giusto sussiego da Enrico Pozzi, mentre cardine centrale della trama assemblata è il giudice D’Andrea che, animato in maniera inquieta e perplessa per il grave peso decisionale che ha sulla coscienza, è bellamente impersonato da Francesco Madonna; simbolo di coloro che fanno gli scongiuri, toccano ferro e portano una collana di corni rossi per scongiurare le sue maledizioni è Marranca in cui s’immedesima Gianfranco Teodoro, lasciando il ruolo di consigliere di prudenza e saggezza nel reclamare la paterna assoluzione è il figlio Ruggiero in cui si cala con l’intelligenza dei giovani, perspicaci e intuitivi della situazione creatasi, Vittorio Aparo. Le donne del plot per lo più in apertura di sipario, entrando di lato com’era di prassi in Pirandello che aveva abolito la quarta parete, sono le “ mascherine” che introducono il pubblico in sala e poi divengono membri della famiglia e del parentado del tanto discusso e vituperato Chiarchiaro. La più intrigante e ricercata dalle altre è Viscardo, prima transgender per una mascolina identità di genere, poi “Tigre del Tabarin”, Santona e Scugnizza di fascino e facile adescamento, che è superbamente resa da Annachiara Mantovani. Reale importanza ai fini del convincimento del giudice e della sospirata sentenza in senso positivo sarà rivestita dalla borbottante e sobillante famiglia, maniacale nell’inseguire il migliore affare vantaggioso dalla possibilità offerta dalla credulità ottusa e beffarda, conformista, della borghesia dei primi del ‘900 in cui la superstizione della “Jattura” tardava a venir rimossa dal raziocinante pensiero. Ancora oggi c’è chi sostiene che passare sotto una scala, vedere un gatto nero tagliarti la strada o toccare il seno d’una donna scolpita come fontana, abbracciare la statua di Giulietta nel giardino della sua casa a Verona, ricevere il mazzo di fiori da una sposa il giorno del matrimonio, porti bene o male a seconda delle circostanze e dell’evento. Naturalmente avevano ragione i latini con la loro massima educativa “Unusquisque faber sui”! Non vi sveliamo il pronunciamento finale del magistrato civile e se la sentenza corrispose oggettivamente al Codice dei rapporti tra cittadini per concedervi il piacere e gusto d’andare a visionare lo spettacolo, dedicato all’indimenticabile e meravigliosa Patrizia Parisi, fino al 28 gennaio all’Anfitrione di San Saba all’Aventino la sera dei giorni feriali alle 21 ed i festivi alle 18.La scenografia che restituisce idealmente un’aula di Giustizia ed i costumi sono di Carla Surro , mentre assistente alla regia di Ammirata dai tempi calibrati e senza pause, a parte l’intervallo, è Claudio Piano. ”Standing ovation” alla fine per l’intramontabile Sergio, che sta lasciando una valente scia con la sua compagnia dietro di sé ormai più che ottantenne. Lo spettacolo è allegro e divertente, con l’impressione che i pregiudizi siano sempre ipocritamente di moda ed ora che pare avverarsi l’intelligenza artificiale, forse, sarà pure peggio.

Giancarlo Lungarini

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