Teatro alla Scala. Fino al 13 Gennaio 2024
Un grande classico, ma poco rappresentato, torna al Teatro Alla Scala: il balletto Coppélia, titolo completo Coppélia, O La Ragazza dagli Occhi di Smalto, un balletto pantomimico del 1870, con coreografia originale di Arthur Saint-Léon su musica di Léo Delibes, ispirato al primo racconto dei Notturni di Hoffmann, L’Uomo della Sabbia, pubblicato nel 1816. Fu l’ultima creazione di Saint-Léon, morto tre mesi dopo la prima rappresentazione, avvenuta il 25 maggio 1870 all’Opéra di Parigi alla presenza di Napoleone III.
Nonostante l’enorme successo, le repliche del balletto vennero interrotte innanzitutto a causa della Guerra Franco-Prussiana con l’assedio di Parigi del 1870-71, poi della scomparsa prematura della protagonista, la milanese Giuseppina Bozzacchi, morta di vaiolo nel giorno del suo diciassettesimo compleanno. Questo balletto segna una grande novità nella storia della danza: spiriti eterei, Silfidi, Willi e simili sono scomparsi in favore di una bambola meccanica con tante danze di carattere; una rottura audace con il mondo triste e cupo tipico dei balletti del Romanticismo come Giselle o La Sylphide.
Qui in Scala invece debutta una coreografia completamente nuova a firma Alexei Ratmansky, coreografo classe 1968 russo-ucraino: sì, nato a San Pietroburgo da madre russa e padre ucraino, cresciuto in Ucraina, ma diplomato in Russia, alla scuola del Bolshoij: allora tanto era tutto Unione Sovietica.
In due case vicine abitano il Dottor Coppélius, uno strano personaggio, fabbricante di giocattoli un po’ mago, e Swanilda, che vive lì con i suoi genitori, fidanzata con Franz. Una volta Swanilda nota qualcosa di strano: al balcone della casa di Coppélius c’è una bellissima ragazza seduta a leggere un libro; potrebbe essere Coppélia, la misteriosa figlia di Coppélius, che nessuno ha mai visto. Swanilda cerca inutilmente di attirare la sua attenzione ma vedendo arrivare Franz si nasconde per fargli una sorpresa; la visione di Coppélia cattura la sua attenzione: si dimostra galante e le lancia un bacio. Swanilda esce dal suo nascondiglio e si scaglia contro Franz in preda alla gelosia. Intanto la piazza del villaggio si riempie, il Borgomastro deve fare un annuncio importante: il Signore del castello vicino ha donato una nuova campana per la chiesa, ed a chi si sposerà il giorno seguente verrà donata una dote in oro. Swanilda danza con le amiche e poi raccoglie una spiga: una leggenda dice che se una ragazza sente il grano risuonare nello stelo della spiga, significa che l’amore del suo spasimante è vero. Swanilda però non sente nulla e si convince che Franz non la ami. Gli abitanti del villaggio danzano una brillante mazurca ed i nobili un’elegante czarda. La sera Coppélius esce di casa, ma non si accorge di averne perso la chiave: Swanilda e le sue amiche arrivano poco dopo, vedono la chiave per terra e decidono di entrare a curiosare; nel frattempo anche Franz, con una scala, si intrufola in casa entrando dal balcone. Dietro una tenda Swanilda trova Coppélia, e scopre che in realtà è solo una bambola meccanica: le amiche mettono in moto anche tutte le altre bambole presenti nel laboratorio proprio nel momento in cui Coppélius irrompe nella stanza e caccia le ragazze. Solo Swanilda rnon riesce a fuggire, e non trova di meglio che nascondersi dietro la tenda e prendere il posto di Coppélia. Franz dichiara a Coppélius il suo amore per la figlia: il mago prima fa per allontanarlo, ma poi cambia idea e gli offre un bicchiere di vino che in realtà è narcotizzato. Franz cade addormentato e Coppélius spera di riuscire, attraverso le arti magiche, a trasferire la vita dal giovane alla sua Coppèlia: Swanilda sta al gioco ed incanta il mago con una danza spagnola e una danza scozzese. La ragazza quindi riesce a svegliare Franz, lo mette al corrente dell’inganno e scappano dal laboratorio: a Coppélius non resta che realizzare quanto sia stato ingannato. La campana viene consegnata ed alcune coppie si sposano, tra cui Franz e Swanilda, con varie danze.
Il coreografo, molto esposto in favore della sua metà giallo-blu fin dall’inizio del conflitto, anche in questa sua Coppélia fa sì che l’influenza ucraina sia molto evidente. Partiamo dall’ambientazione: l’originale del 1870 vede la vicenda ambientata in Galizia, non in Spagna ma nei Carpazi dell’Europa centrale. Ratmansky invece la ambienta in un villaggio in Ucraina. I costumi, bellissimi, di Jéròme Kaplan sono quelli tradizionali tipici: stivaletti, corone di fiori come cerchietti da cui pendono nastri colorati, oltre ai tutù con intrecci e corpetti ed alle camicie dei ragazzi con le decorazioni ricamate tipiche.
Come sempre il Direttore Manuel Legris ha alternato diversi casts. Oltre alle solite prime ballerine del Corpo di Ballo scaligero (Nicoletta Manni, Martina Arduino, Alice Mariani), abbiamo visto la solista Camilla Cerulli nel ruolo di Swanilda. E’ stata una gradita sorpresa: tecnicamente brava, solo un attimo di incertezza in un equilibrio, sempre nel ruolo e molto interpretativa, arriva alla fine più che egregiamente. La affianca una certezza, Claudio Coviello come Franz: già adatto grazie ad un bel viso e all’aspetto proprio del principe delle fiabe, è primo ballerino da circa dieci anni, ma non sempre esaltato come meriterebbe; tecnicamente molto pulito e preciso, nonché convincente dal punto di vista interpretativo. Chi tira le fila della storia è Coppélius, qui interpretato da uno straordinario Matteo Gavazzi: un ruolo quasi esclusivamente interpretativo, dote non di tutti, che deve farci capire cosa sta succedendo senza ovviamente poter dire una parola. Certi talenti andrebbero senza dubbio sfruttati di più. Il Corpo di Ballo è qui diviso in tre gruppi: primo, le sei amiche di Swanilda con i quattro amici di Franz, tutti convincenti e nel ruolo. Secondo, i ballerini di carattere: tutti in coppia, gli schemi coreografici sono molto chiari, ma come spesso capita il lavoro di insieme non è sempre tale: coppie fuori posizione o fuori tempo. Lo stesso capita per il terzo gruppo, le Ore: dodici danzatrici che davvero sembrano delle soliste, ognuna va per la sua strada, ma non dovrebbe essere così.
Un lavoro tutto sommato nella linea della tradizione, con qualche novità, che mancava in Scala dal 2009, quando era andata in scena la versione di coreografica di Derek Deane, che non si capisce come mai non rientri nei classici che si vedono quasi sempre.
Chiara Pedretti