Teatro alla Scala, recita del 17 gennaio 2024
Il mito di Medea, una delle figure femminili più forti e inquietanti della tragedia classica, ha ispirato il teatro di tutti i tempi: da Euripide a Seneca, da Corneille al melodramma del Sette e Ottocento, per arrivare sino ai nostri giorni con Jean Anouilh. Medea la maga, la femmina che una devastante passione spinge alle azioni più nefande, Medea sposa tradita, Medea vittima dell’egoismo dell’uomo e di dure leggi sociali, Medea vendicatrice spietata e inesorabile. La terribile determinazione di uccidere il frutto del proprio ventre, di sacrificare alle proprie ragioni e alla vendetta i figli avuti da Giasone è stata spesso interpretata in termini esistenziali, come ribellione a ogni compromesso, a ogni facile e alienante adesione all’altrui volere: rivendicazione suprema di libertà. Il mito di Medea è antico, esisteva già in Grecia nell’VIII secolo a. C. Euripide è il primo a prendere questa figura dalla tradizione e a portarla sulla scena nel 431 a.C., trasferendo l’interesse drammatico dall’interpretazione del mito alla creazione del personaggio, con acuta introspezione psicologica. Giasone ripudia Medea, barbara e senza patria, per sposare la figlia del re Creonte: il dramma si svolge il giorno delle nozze. Dopo un lungo monologo ispirato alla pietà per i figli e all’odio per lo sposo infedele, Medea compie il gesto orrendo dell’uccisione degli innocenti: feroce vendetta compiuta non solo per sè ma in nome di tutte le donne. Luigi Cherubini non si sottrae al fascino del mito della principessa barbara che ordisce l’atroce vendetta scegliendo una versione della leggenda greca modellata più su una scrittura e uno stile ispirato a Corneille e Seneca che alla fonte di Euripide: la sua MÉDÉE condensa sapientemente la complessità della tragedia in essenziali elementi drammatici e psicologici. Vide la luce a Parigi, Théâtre Feydeau, il 13 marzo 1797, protagonista M.me Scio: fu un trionfo, sottolineato da tutta la stampa. A metà strada fra tragédie-lyrique e opéra-comique (ossia con dialoghi parlati) su libretto di François-Benoît Hoffmann, Medée è un peculiare prodotto dell’ambiente operistico francese e delle ferree convenzioni che lo regolavano. La partitura del compositore fiorentino, rivestita di splendidi interventi sinfonici, è la più famosa e fortunata della sua larga produzione operistica; di grande rinomanza storica, fu sostenuta dai poco filologici recitativi aggiunti da Franz Lachner nel 1854, quando non si tolleravano quelli parlati. Eppur lo stesso Cherubini arriverà quasi a proibirne la rappresentazione, come a Londra nel 1815, giudicando la sua creatura troppo austera per il gusto degli inglesi…E forse per la stessa ragione che in Italia si ascolterà per la prima volta solo nel 1909 al Teatro alla Scala, il 30 dicembre, con i recitativi di Lachner tradotti in italiano da Carlo Zangarini. In platea sedeva Giacomo Puccini. Prima del 1950 il nome di Luigi Cherubini era sconosciuto agli appassionati di musica: un controsenso per un musicista idolatrato ai suoi tempi. Sarà Maria Callas a riportarlo prepotentemente all’attenzione, con una serie impressionante di recite di Medea, che diverrà uno dei suoi cavalli di battaglia. Si potrebbe discutere a lungo sulla validità (e opportunità) della versione Zangarini-Lachner: resta che questa versione, pur non originale, lo è però diventata; la tradizione e la storia contano. Médée – Medea è stata ammirata dai più importanti compositori: Beethoven la definì “vetta suprema della musica drammatica”. Quanto mai opportuna la scelta del Teatro alla Scala di proporre, oggi, la versione francese originale, con l’aggiunta di “dialoghi” espressamente scritti per questa edizione. Nuova la produzione scaligera, affidata alla regia Damiano Michieletto che imposta lo spettacolo attraverso gli occhi dei figlioletti di Medea, che pensano e commentano la vicenda. Medea è qui una dea dismessa a una familiare domesticità, con immagini di una S. Giovanna al rogo e vaga similitudine recitativo-fisica con Anna Magnani. Scene di Paolo Fantin nell’elegante spaccato “indaco schiarito” di vasto interno, convergente sull’uscio della stanza degli infanti. Costumi di Carla Teti e luci accurate di Alessandro Carletti, capaci di creare con i fumi, l’estasi alla vista del vello d’oro. Médée era Marina Rebeka protagonista indiscussa della serata assieme al direttore. Passionale, dalla sicura linea di canto nonostante una forma virale che continua a perseguitarla, sicura nel controllo degli acuti che gli permettono di dominare l’impervia tessitura. Tragica e commovente in una declamazione di pregnanti accenti e colori, intima lacerazione di dea costretta a provare le debolezze di una donna e di una madre. Perorativa e dolente all’incontro con Creonte, raggiunge l’apice in Eh quoi! Je suis Médée! Dove il timbro si fa drammaticamente angoscioso, in larghezza di fraseggio nel perentorio accento dell’invocazione alle furie. Jason Stanislas de Barbeyrac dal bel personale, dotato di un timbro dai riflessi sensuali, anche se la voce non sempre è ben dispiegata; efficace nei duetti con Medea, al limite della più feroce drammaticità. Modesto Créon di Nahuel Di Pierro, timbro non nobile, voce corta e di scarso ampleur, carente di squillo in alto e di rotondità nei gravi. Dircé Martina Russomanno inizialmente tremebonda, acquistando sicurezza diviene partecipe del personaggio; capace di filare e sfumare, precisa nella coloratura, mostra pur qualche asperità negli acuti. Néris era Ambroisine Bré dal lacrimoso timbro e flebile accento, non più che corretta ma modesta nello spessore vocale. Greta Doveri, dalla voce ben proiettata e squillante era la prima confidant de Dircé appaiata a Mara Gaudenzi dalla voce vibrante ma che tende a spingere in alto. Il Maestro Michele Gamba imprime alla partitura una vibrante carica teatrale, trascinante per impeto e intensità di colori. La narrazione musicale di spiccata impronta drammatica, si fa a tratti tagliente; rapinoso nei tempi staccati raggiunge sognanti sonorità e morbidezze nei passi sinfonici ed elegiaci, sottolineando il talento melodico di Cherubini. Ovazioni per Marina Rebeka e il Maestro Gamba, calorose accoglienze al resto della compagnia di canto.
gF. Previtali Rosti