La perdita d’un proprio caro provoca in noi un sentimento di forte frustrazione e profonda devastazione interiore, sconvolgente amarezza e solitudine, ma se per un figlio s’avverte un’incredibile e paradossale sciagura in quanto per l’ordine naturale delle cose dovrebbero essere i genitori a precederci nel Regno dei più, il decesso del compagno di vita od “anima gemella” è qualcosa di più toccante ed irreparabile, specie se la convivenza od il matrimonio sono durati a lungo. In quest’ottica di ragionamento e spirito di relazione abbiamo assistito a due commedie diverse, tuttavia con questa fondamentale differenza per la scomparsa del partner in due commedie di questi giorni a teatro con tipologia diversa di unione esistenziale. Nel drammatico testo di Fabio Grossi, sposatosi con Leo Gullotta civilmente nel 2019,s’immagina la loro vita in comune prima del riconoscimento dei diritti civili dei soggetti con identità di genere ed orgogliosi del proprio essere, quando non vigevano i PACS e nemmeno le garanzie civili degli LGBT. Non hanno figli e la loro fedeltà sessuale va avanti da una decina d’anni all’interno della loro casa con spontaneità e riservatezza tra gioie e piaceri intimi, alternati a patologiche sofferenze e patimenti per legittime incomprensioni dovute alla netta differenza d’età, con l’attore catanese quasi ottantenne con i terrori della vecchiaia per le previsioni generali di durata terrena per gli uomini, mentre l’ amante è più giovane e vispo, arzillo, sbrigando lui le faccende della magione, compresa la spesa ed il pagamento delle bollette. Perciò Papi impersonato dal saggio e filosofico Leo ed il più intrepido, aitante e frizzante, dinamico ed energico , Fabio sembrerebbero destinati alla felice serenità ed armonica coabitazione degli ultimi anni con un saldo legame di seduzione e condivisione insieme, finché l’imprevisto della sfortuna, della cattiva sorte e della degenerazione del corpo, non intervengono tutte concordemente a guastare l’idillio della senescenza di cui parlavano nella classicità i distici elegiaci dei poeti Mimnermo e Solone e più avanti la calibrata profezia della Sfinge. Si scatena l’Inferno della malattia, le cellule si corrompono ed incominciano a devastare e corrodere l’organismo umano senza che le difese immunitarie bastino a proteggere il fisico attaccato dal di dentro di Carlo, che a poco a poco dimagrisce lentamente ed allorché se ne rende conto cade in preda al panico. Interpella l’amico gastroenterologo Massimo che da una lastra intuisce un documentato tumore al pancreas, che ha già prodotto diffuse metastasi in varie parti interne di Piercarlo, per cui non gli restano che 6 mesi di vita. Papi esprime il disappunto e lo sconforto di chi si sente crollare il mondo addosso, ma la catastrofe sotto forma di temporale è imminente e senza possibilità di scampo in qualunque nosocomio possano andare e Papi è disperato, non sapendo come affrontare il rovescio imprevisto ; da qui il titolo metaforico “In ogni vita la pioggia ( del male) deve cadere” ed il guaio è che quasi mai s’è preparati, come le 5 vergini stolte senza olio per le loro lampade del Vangelo. Il crudele destino, per cui il soggetto colpito si mette l’animo in pace rassegnandosi spiritualmente e scegliendosi camicia e vestito nero per il suo trapasso con atteggiamento sarcastico e ribelle nel non disperarsi, s’avvera e Papi resta solo nella grande abitazione senza chi lo conforti con umana pietà e cristiana carità, nel contempo il telefono non suona più essendosi tutti scordati di, pure nei giorni rituali della funesta circostanza. Noi che l’abbiamo sperimentato quel lutto sappiamo quanto il periodo della perdita sia lancinante con tanti rimpianti e rimorsi, alla guisa di Pozzetto che in codesto tempo ha ricordato il decennale della scomparsa della moglie Brunella, sostenendo che è stata la sua unica donna, avrebbe voluto darle di più e per maggiore atrocità psichica non gli è mai apparsa in sogno differentemente dalla commedia di E. De Filippo “Non ti pago” ma con individuo sognatore sbagliato. La doppia metà della persona paolina ed evangelica, dell’identità cinese come embrioni d’una sola mela, figura umana, s’è spezzata e non rimane che una vita ripiegata su stessa, peggio se capita all’uomo e senza figli. Talora se s’è fortunati c’è la possibile opportunità di rifarsi una relazione per ritingere l’orizzonte di rosa e far riesplodere il cuore, quale ci propongono in una molteplice ideazione scenica Augusto e Toni Fornari, Andrea Maia e Vincenzo Sinopoli nella seconda pièce alternativa “ L’Albero di Natale” rappresentato fino al 4 febbraio al teatro Golden di via Taranto. Anche qui si scuote a tutto tondo la corda dei sentimenti, si fa scoppiare l’animo e s’assiste alla progressiva riscoperta del mondo da parte di Marco che per quattro anni aveva condotto una vita da “ cane bastonato” per la perdita della moglie Martina con cui aveva vissuto uno splendido matrimonio per tre lustri, facendo insieme l’albero di Natale che da 4 anni non adorna più di luci e striscioni per l’intollerabile privazione maligna della consorte. Stupendo è Simone Montedoro, incorso pure in un traumatico incidente al naso nella replica domenicale, nel trasmetterci la catena di avvilimenti, solitudine e muro del silenzio vissuto nel deleterio “rifugio” casalingo silenzioso da 4 anni. Vanno a trovarlo solo Gisella che tiene in ordine la casa e gli prepara i pasti, come fa la nostra colf, mentre l’amico bizzarro ed impenitente Franco non solo gli porta i cornetti, ma approfitta anche del suo desco e divora le pietanze e leccornie preparate dalla domestica incarnata dalla simpatica e formosa Emanuela Fresi, che comincia a guardare con occhio diverso dal solito donnaiolo qual è. Volendo smuovere Marco, che sta scrivendo il suo libro di memorie e che tuttavia s’è bloccato giacché non ha la forza di comporre la dolorosa ed opprimente parte finale, l’invita ad una serata con belle ragazze per piacere alle quali deve farsi la barba e vestire con spirito giovanile ed allegro, in cerca della nuova giusta conquista. Il primo tipo è raffigurato da Andrea Lolli, mentre il depresso Marco non aperto al destino in cui non crede è appunto il diligente e politonale Montedoro. La sera del 23 non resiste al clamore fragoroso ed alle musiche roboanti della discoteca con le luci psichedeliche, ma un piacevole imprevisto l’attende con sorpresa. In strada s’imbatte nella picchiata ed acciaccata Vanessa che è stata scippata della borsetta e s’è infortunata pure alla caviglia, per cui la soccorre, le presta le prime cure con la fasciatura come il buon Samaritano e la porta casa sua, scoppiando in lui un improvviso colpo di fulmine, anche se la fa dormire sul divano. Intanto che la mattina presto lui le prepara la colazione, lei imprudentemente guarnisce l’albero mandandolo su tutte le furie, per aver toccato il simbolo del cuore assopito e naufragato nel dolore. Ma saranno Gisella e Franco a metterla sull’avviso del grave errore commesso, mentre i due dopo essersi studiati iniziano a flirtare e sulla loro scia desidererebbero un secondo menàge per far tornare aria fresca, pulita e divertita in quella casa. Inaspettatamente Vanessa confessa che quella è stata la sua notte d’addio al celibato poiché il giorno dopo si sposerà a Bologna con il suo avvocato di studio. Tutto è finito senza nemmeno la possibilità di mettersi alla prova? Pirandellianamente pare così, ma forse non è mai detta l’ultima parola e noi ve la sveliamo la conclusione. La splendida e seducente personalità di Vanessa ce la offre una smagliante e vispa Roberta Mastromichele con la calibrata regia psicologica e marchio di fabbrica di Toni Fornari. Spiriti ardenti e cuori in vena di sospiri andate a vedere la commedia fino a domenica alla bella sala a vetri del Golden di via Taranto di fronte alle Poste.
Giancarlo Lungarini