Al Teatro Comunale Pavarotti – Freni di Modena, recita del 12 maggio 2024
Modena Belcanto Festival è la nuova manifestazione che coagula le iniziative che da anni le quattro maggiori istituzioni modenesi hanno operato per la tradizione lirica della città, con l’intento aggiuntivo di allargare la prospettiva e la valorizzazione del belcanto e della vocalità. I riflettori erano puntati su quella che era la vera “scommessa” del cartellone di questa prima edizione: I Puritani di Vincenzo Bellini, presentata nell’edizione a cura di Mario Parenti. Un’opera tra le più ardue da rappresentare ai nostri giorni, soprattutto per quell’Arturo che Vincenzo Bellini modellò sul fenomeno vocale del suo tempo che si chiamava Giambattista Rubini. Nato a Romano di Lombardia, Rubini era dotato di un’eccezionale ottava superiore che, unitamente ad una tecnica vocale raffinata e sapiente, lo fece diventare un tenore leggendario. Una tessitura, quella di Arturo, letteralmente da capogiro, che manda in crisi i direttori dei teatri di tutto il mondo per l’oggettiva difficoltà a trovare un tenore altrettanto dotato in natura. E non solo di questo si tratta, ma che sappia recuperare e adottare la tecnica di canto del primo ottocento, che impiegava l’uso di suoni di “testa”, accanto a quelli di “petto” che finiranno per prevalere in epoca successiva. Una scommessa, si diceva, ancora più ardua per un nascente Festival che non può contare su illimitate risorse finanziarie, ma trova nel progetto di investire su dei cantanti pur affermati, ma non ancora travolti dallo “star system”, la possibilità di allestire un titolo altrimenti precluso. La scelta di questo lavoro belliniano nel programma del MBF, trova la sua ragione nel suggestivo tentativo di far rivivere la febbre creativa “italiana” che permeava la Parigi del 1835. Riprodurre la stagione forse più strepitosa di quegli anni: Donizetti con Marino Faliero e Bellini, si lanciavano un’ipotetica sfida sui palcoscenici teatrali parigini. I Puritani, opera seria in tre atti su libretto del Conte Carlo Pepoli, videro la loro prima rappresentazione al Théâtre des Italiens il 25 gennaio del 1835. Il testo, adattato da un mediocre romanzo di Ancelot, Les Puritains d’Ecosse, è per ammissione dello stesso Bellini, di scarsa levatura, spesso confuso e opaco. La storia si basa su eventi storici e precisamente tra i fedeli alla corona e i Puritani sullo scorcio della Guerra civile che dilaniò l’Inghilterra attorno al 1600. Come per i lavori belliniani che lo precedettero, anche qui il compositore catanese mostra una ricchezza espressiva e un materiale melodico tra i più raffinati che sia dato ascoltare. La maggior parte delle arie è di matura squisitamente patetica, di una bellezza lunare. Il romanticismo del primo atto si esplicita bene nella celebre: “A te, o cara”, nella polacca, nel grande duetto e nell’assolo del concertato finale. Tutto questo scatenò l’entusiasmo generale. Un cast come quello riunito in occasione della prima parigina, avrebbe saputo rendere espressivo anche l’elenco del telefono…figurarsi con I Puritani! I cantanti erano: il soprano Giulia Grisi, Rubini, il basso Luigi Lablache e il baritono Tamburini. L’opera sbarcò a Londra l’anno successivo, a beneficio della Grisi, e riportò un tale successo che per lungo tempo i più incalliti habitué del melodramma usavano indicare la “stagione dei Puritani” come una delle più esaltanti mai vissute nella loro esperienza di spettatori. Ultima opera del musicista siciliano, I Puritani riaprirono il Théâtre des Italiens nel settembre del 1835, dopo la morte di Bellini. Al suo funerale, lo accompagnò l’aria del tenore del III atto, con le parole cambiate in quelle del “Lachrymosa”. I Puritani della Fondazione Teatro Comunale di Modena vuole essere un doveroso omaggio a Mirella Freni e Luciano Pavarotti che frequentarono in più occasioni questo titolo belliniano. Nuovo l’allestimento, regia di Francesco Esposito che cura anche i costumi, scene di Rinaldo Rinaldi e Maria Grazia Cervetti, luci di Andrea Ricci. Arturo Talbo di Ruzil Gatin dà subito, nell’A te o cara, una lezione di linearità di canto creando una magica sospensione: evocazione di quell’estetica che l’opera romantica si prefissava raggiungere. E’ un amoroso ideale in scena, nobile il portamento e misurata la gestualità; impeccabile nel canto dove non forza mai, non spinge mai, mostrando un impagabile legato. Smorza e sfuma nell’esaltazione del puro canto, ma sa mostrare furore romantico con acuti come lame di suono; ottimo fraseggiatore che ne fa un intenso e appassionato interprete. Nel terzo atto avrebbe necessitato di ben altro accompagnamento orchestrale, così da poter espandere la voce e far risaltare le potenzialità di tenore contraltino, e meglio rifinendo quei sovracuti che qui sono suonati forzati e stiracchiati, mal esempio di atletismo vocale sconosciuto a Bellini, che scriveva sempre la coloratura a fini espressivi. Elvira di Ruth Iniesta ha timbro lirico non particolarmente sognante, voce proiettata in acuto che pur tende troppo spesso a slanciare; scintilla e fa valere le sue capacità in Son vergin vezzosa con acuti sempre a piena voce e qualche fragilità di consistenza in basso. Patetico il suo Cinta di fiori ma la direzione superficiale non l’aiuta, anche se coglie un entusiastico applauso a scena aperta. O rendetemi la speme ben cantato ma privo di vero pathos, di capacità di emozionare: più canto che interpretazione. Sir Giorgio è Luca Tittoto con il suo possente mezzo vocale dal timbro pastoso e rotondo, espressivo sempre, capace di travolgere con impeto guerresco il pubblico (assieme al baritono) in Suoni la tromba o intrepido, da richiederne il bis. Sir Riccardo Forth di Alessandro Luongo ha timbro non particolarmente fascinoso, riesce in Ah per sempre io ti perdei con smorzature a variare il fraseggio, ma apre il suono salendo e la coloratura è spesso spianata, l’accento poi non si segnala per grande nobiltà. Nozomi Kato era una modesta Enrichetta di Francia. Corretti gli altri. Il Direttore d’orchestra Alessandro d’Agostini (che sostituiva l’originalmente previsto Francesco Ivan Ciampa) alla guida della Filarmonica del Teatro Comunale di Modena, ha impresso alla partitura un piglio quarantottesco e garibaldino che, se si addiceva a poche pagine, lasciava completamente inesplorato il cotè amoroso e romantico. Efficace il Coro lirico di Modena, diretto da Giovanni Farina. Messinscena che regala qualche momento di magica sospensione e si apprezza per quelle pareti semoventi che ben delimitano gli spazi. Successo calorosissimo per tutta la compagnia e per il direttore.
gF. Previtali Rosti