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La Bohème all’Arena di Verona

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La Bohème, quarta opera, del trentottenne Giacomo Puccini su libretto di Giacosa e Illica è una meravigliosa e riuscita metafora musicale che celebra l’unione perfetta tra le arti che Puccini indica, facendo riferimento ai quattro personaggi maschili in una nota a margine del libretto, in modo molto puntale nella musica, nella filosofia, nella letteratura e nella pittura. Un’armonia, quella tra le quattro arti, che non viene mai meno, dando dignità a tutti i suoi interpreti e alle loro storie personali anche quando incombono la miseria e la tragedia.

Uomini e donne dignitosi, gli artisti de la vie de bohème pucciniana, che con giovanile vitalismo intendono la cultura come unica forma di riscatto e di emancipazione da una società egoista, che manda in miseria le persone più deboli, affrettandone la fine.

Ma Bohème è anche l’opera del quotidiano, che racconta di uomini e di donne saldamente ancorati alla vita di tutti i giorni, in bilico tra i bisogni materiali e le aspirazioni. Tensione, questa, che ogni personaggio vive durante l’opera e che Puccini, con Giacosa e Illica, incarna, con grande senso del vero, nel rapporto tra uomo e oggetto, trovando in questa relazione anche una specifica connotazione musicale, oltreché narrativa. La zimarra di Colline, il corno stonato di Schaunard, la cuffietta rosa di Mimì…

La Bohème, superato, quindi, lo strato del calligrafismo di genere a cui può incorrere sul piano della rappresentazione, è un’opera che racconta storie di vita e che, con il giusto scavo umano, può aprire a interpretazioni coraggiose e molto dialoganti con le sensibilità della società contemporanea.

Alfonso Signorini, chiamato a curare la regia di questa nuova produzione areniana, sembra non cogliere, tuttavia, le possibilità più profonde che Puccini consegna ai suoi interpreti. Signorini, infatti, si limita a un didascalismo senza grandi intuizioni, che non disturba ma che, allo stesso tempo, sembra essere una copia, un po’ vecchia e manierista, del melodramma più tradizionalista, fatto di gestualità esagerate e di accenti patetici.

L’impianto scenico di Juan Guillermo Nova, classico nella sua realizzazione, è gradevole e pienamente funzionale per gli spazi ampi dell’Arena.

La Direzione musicale e la concertazione, affidate a una bacchetta d’esperienza come quella del Maestro Daniel Oren, creano, compatibilmente con la dispersione sonora di uno spazio all’aperto, un tessuto musicale espressivo ed efficace, capace di restituire quanto le flessuosità quanto i modernismi, fatti di contrasti e ritmi sincopati.

Mimì è Juliana Grigoryan, debuttante all’Arena. La Grigoryan, dotata di una voce ben proiettata, omogenea nei diversi registri e da una bella tinta lirica, è una Mimì espressiva e credibile, capace, con un uso tecnico efficace della sua voce, di essere vibrante nella tragedia e fresca nelle scene di gioiosa spensieratezza.

Vittorio Grigolo, complice una voce schietta, è un Rodolfo giovane e molto istintivo che, però, pecca in gigioneria, abusando di mezze voci sbiancate, di acuti spinti ed platealmente lunghi che, in modo molto evidente nel primo atto, creano un paio di gravi scollamenti con l’orchestra. Il suo canto aperto con il tempo sta usurando la voce, che pare molto appoggiata sul petto nelle note medio-basse del registro e con acuti sfuocati. Quello di Grigolo, complice una voce schietta, è un Rodolfo giovane e molto istintivo.

Marcello, il pittore, è Luca Micheletti. Il suo è un generalmente canto corretto ed espressivo. Quest’ultimo a volte  ricercato con suoni che vanno a discapito dell’eleganza nell’emissione, soprattutto nel registro medio-bassi che risulta essere molto aperto. La sua capacità attoriale e interpretativa gli permettono  di far emergere un personaggio compiuto e credibile.

Eleonora Bellocci è una Musetta corretta, molto più capace nel rendere la pietà che la leggera frivolezza del personaggio.

Sia lo Schaunard di Jan Antem che il Colline di Alexander Vinogradov sono perfettamente in linea con il resto della compagnia di canto. Particolare nota di risalto va data a Vinogradov per la corretta e compassata <arietta>, come scrive Puccini, della zimarra.

La recita, accompagnata da una piacevole brezza serale, si conclude con sentiti applausi a tutte a tutti, con particolari ovazioni per il Maestro Oren, il tenore Grigolo e la soprano Grigoryan.

gF. Previtali Rosti

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