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Prima di Cinecittà, Pisorno: gli stabilimenti cinematografici tra Pisa e Livorno

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Per i lettori più giovani, probabilmente, sarà una sorpresa il poter scoprire che la fascia tirrenica tra Pisa e Livorno sia stata una delle zone più importanti della storia del cinema italiano. Tutti conosciamo gli storici studios di Cinecittà; ma ancor prima di questi, la storia è stata segnata dagli studios di Tirrenia, tra Pisa e Livorno.

Tirrenia è una graziosa località marina, tra Pisa e Livorno, frazione del comune di Pisa, sorta nei primi anni Trenta, in realtà più vicina a Livorno e idealmente facente parte di quella affascinante striscia di mare tirrenico che va da Viareggio a Livorno fino a Piombino, passando per Rosignano, Cecina e Bibbona. Tirrenia – nata a seguito di un lavoro che ha permesso ad una zona vegetativa, inaccessibile all’uomo, di divenire una perla del turismo balneare tirrenico –  ha ospitato in passato i più importanti studi cinematografici italiani, prima della fondazione di quelli di Cinecittà, a Roma; si tratta dei mitici studios Pisorno, giusto ad indicare l’ideale appartenenza geografica sia a Pisa che a Livorno. Troviamo sia il caso di riportare all’attenzione la storia di questi storici studi cinematografici, inaugurati nel 1934, e che fino al 1959 hanno contribuito non poco a scrivere pagine straordinarie della nostra cinematografia, sino a quando, nel 1960, sono stati rilevati dalla società Cosmopolitan, la quale ha continuato l’opera, partendo da un’ulteriore ammodernamento dei supporti industriali e delle tecniche produttive.

Gli studi Pisorno di Tirrenia sono stati voluti da Giovacchino Forzano, con l’aiuto decisivo di Giovanni ed Edoardo Agnelli (rispettivamente, nonno e padre del noto Gianni, che per tutti è stato l’Avvocato), con il nome sociale storico di Anonima Cinematografica Immobiliare Pisorno. È stata utilizzata una lunga striscia di terra, tra pineta e spiaggia, intorno alla località denominata Mezzapiaggia. Il clima e la presenza di mare, fiume, scogli, pineta e colline, ha reso ancor più allettante e affascinante l’uso degli studios, anche per le grandi produzioni statunitensi. In realtà, questi ultimi si erano già interessati in più di un’occasione alla fascia costiera pisana-livornese, tanto che già nel 1925 al Molo Novo di Livorno vennero girate alcune scene del Ben Hur di Fred Niblo, con Ramon Novarro e May Mc Avoy, un capolavoro del cinema muto come fu, poi, la versione sonora e a colori del 1955, firmata da William Wyler, con Charlton Heston, che conquistò ben 11 premi Oscar.

Il patron di Pisorno, Giovacchino Forzano, nativo di Borgo San Lorenzo, è stato autore drammatico, librettista d’opera, regista teatrale e cinematografico, oltre a svolgere la citata attività imprenditoriale. Malevolmente, qualcuno all’epoca andava dicendo che Forzano avesse fondato gli studi con lo scopo principale di portare sul grande schermo i suoi progetti cinematografici, prevalentemente drammi storici tratti da episodi della rivoluzione francese e del periodo napoleonico, oltre ad un breve filone, in qualche modo obbligato, relativo al regime fascista vigente nel primo decennio della gestione Forzano degli studi di Tirrenia. Ma Pisorno non è stato affatto una sorta di affare di famiglia per Forzano; bensì, vi hanno lavorato molti eccellenti registi, come vedremo più avanti, da Vittorio De Sica a Mario Bonnard, da Alessandro Blasetti a Joseph Losey, soltanto per anticiparne alcuni. Comunque sia, Giovacchino Forzano ha inaugurato gli studi con un proprio film, di chiaro e furbesco intento propagandistico, Camicia nera (1933), con Enrico Marroni e Paola Barbara, al quale fa seguito, nel giro di pochi mesi, Villafranca (1933), con Annibale Betrone e Corrado Racca, che apre una serie di pellicole che Forzano trae da sue commedie scritte per il teatro. Difatti, fanno seguito: Campo di maggio (1934), con Corrado Racca (di questo film viene girata anche una versione tedesca); Fiordalisi d’oro (1936), con Fosco Giachetti e Marie Bell, che ottiene un buon successo in Francia con il titolo Sous la terreur; Colpo di vento (1936), con Ermete Zacconi e Dria Paola. Successivamente, nella filmografia di Giovacchino Forzano e nella storia di Pisorno, è la volta di altre pellicole, principalmente tratte da soggetti originali, come: Sei bambini ed il Perseo (1940), con Elena Zareschi e Augusto Di Giovanni; Il re d’Inghilterra non paga (1941), con Silvana Jachino e Andrea Checchi. Il suo ultimo film, Piazza di San Sepolcro (1943), con Vivi Gioi e Rossano Brazzi, non è mai stato presentato al pubblico.

Nel frattempo, come detto, altri registi lavorano presso gli studi di Tirrenia, estesi per circa 500.000 metri quadrati e molto ben equipaggiati da un punto di vista tecnico. Vogliamo qui ricordare Piccola mia (1933), di Eugenio De Liguoro, con Germana Paolieri, Ernesto Sabbatini, Maria Denis ed Ernesto Marini, una sorta di melodramma on the road; La Signora Paradiso (1934), di Enrico Guazzoni, con Memo Benassi, Elsa De Giorgi e Mino Doro, film sentimentale con il classico triangolo ‘il buono, il cattivo e la bella’, con l’ovvio (ma dignitosissimo nei modi) finale a lieto fine; Cuor di vagabondo (1936), di Jean Epstein, con Valentino Bruchi, Fosco Giachetti, Silvana Jachino ed Ermete Zacconi, commedia rosa qua e là ingiallita da equivoci e da vari accadimenti, ma sempre con il lieto fine in uso nel cinema dell’epoca; Don Buonaparte (1941) di Flavio Calzavara, con Ermete Zacconi e Oretta Fiume, storia di un parroco di montagna, zio di Napoleone, che dall’imperatore riceve la proposta della nomina a cardinale, cosa che gli farà crescere a dismisura le amicizie interessate, delle quali saprà fare a meno, come del titolo di porporato; Clandestino a Trieste (1951), di Guido Salvini, con Edda Albertini, Doris Duranti, Massimo Girotti e Jacques Sernas, un misto di vita militare e di relazioni amorose, ben gestito a differenza di altri casi di questo genere cinematografico. Vanno menzionati anche altri autori eccelsi che hanno scelto Pisorno per le loro pellicole: Mario Bonnard per Il conte di Brechard, Abel Gance per Ladro di donne, Luis Trenker con il suo L’imperatore della California, Gustav Machaty con Ballerine; e ancora: Duccio Camerini, Mauro Bolognini, Roberto Faenza e le nuove leve toscane dell’epoca, come i fratelli Taviani, che si formarono nel primo cineforum nato tra Pisa e Livorno (proprio sotto la spinta della presenza degli stabilimenti Pisorno), e Mario Monicelli che qui ha iniziato la sua carriera, anche grazie all’amicizia con Giacomo Forzano, figlio di Giovacchino.

Anche la straordinaria pagina del neo-realismo si è affidato agli studi di Tirrenia. Si pensi ad una delle pagine più belle e nobili di quell’epoca felice del nostro cinema, vale a dire Sciuscià (1946), di Vittorio De Sica, interpretato da molti attori non professionisti, per lo più trovati per le strade e il porto di Livorno. Tra i protagonisti, il solo Franco Interlenghi diventerà attore professionista, di grande successo.

Perfino la cosiddetta commedia all’italiana, con – per fare solo un esempio – quell’imperatore della risata qual è stato Totò, ha trovato posto negli stabilimenti Pisorno, con Il coraggio (1955), di Domenico Paolella, con il comico napoletano affiancato da un altro grandissimo attore, Gino Cervi. Il primo interpreta Gennaro Vaccariello, un presunto aspirante suicida che, salvato dal secondo, l’industriale Paoloni, gli si infila in casa con tutta la famiglia al seguito. Dopo una serie di grotteschi equivoci, questa strana coppia rappresenterà la fortuna per entrambi.

Durante gli ultimi anni di lavoro di Giovacchino Forzano, comincia l’attività registica del figlio Andrea, viareggino di nascita, il quale esordisce giovanissimo, 25enne, nel 1940 con un proprio soggetto originale, Ragazza che dorme, con Oretta Fiume e Andrea Checchi. Dopo questo esordio così precoce, ha fatto seguito un’attività sporadica, che si svolge comunque negli studios Pisorno, diventando negli anni il principale finanziatore della casa di produzione Pisorno Film. Tra i non molti film dei quali firma la regia, ricordiamo: La casa senza tempo (1943), con Vivi Gioi e Rossano Brazzi; Imbarco a mezzanotte (1952), con Paul Muni e Luisa Rossi (questa pellicola è stata girata a quattro mani da Andrea Forzano e da Joseph Losey, e rappresenta sicuramente l’unico episodio di rilievo nella carriera di regista del figlio del patron di Pisorno); Pellegrini d’amore (1954), con Sophia Loren, Alda Magini e Charles Rutherford; Il canto dell’emigrante (1956), con Luciano Tajoli e Marina Berti.

Gli stabilimenti Pisorno vengono, poi, ceduti ad una cordata italo-svizzera di imprenditori guidata, per la loro indubbia esperienza nel settore cinematografico, dai produttori Carlo Ponti e Maleno Malenotti. Negli anni, i destini della Cosmopolitan finiscono con l’essere sempre più legati alla figura di Carlo Ponti. La totale ristrutturazione degli studi, iniziata nel 1960, si è conclusa nel giugno 1961. Il primo film girato nei nuovi stabilimenti di Tirrenia è stato Madame Sans-Gêne di Christian Jaque (1961), con Sophia Loren, Robert Hossein, Julien Berthean e Carlo Giuffré. Si tratta della storia di un’affascinante e giovane lavandaia che, sposando un militare che si è fatto particolarmente onore durante la campagna napoleonica d’Italia, si ritrova cucito addosso un alto titolo nobiliare, e con la sua scaltrezza di donna del popolo, scala gradino dopo gradino quasi tutto l’ideale podio sociale del tempo. Trasposizione di una commedia teatrale di Moreau e Sardou, scritta sul finire dell’Ottocento, si presta inevitabilmente al grande temperamento della Loren.

Tra gli altri titoli dell’epoca Cosmopolitan di Tirrenia, vale la pena di ricordare Cyrano e d’Artagnan (1963), di Abel Gance, con Jean-Pierre Cassel, José Ferrer, Sylva Koscina, Philippe Noiret. Prodotto con capitali francesi (difatti, non solo Hollywood si affacciò a Tirrenia), rappresenta uno degli innumerevoli capitoli cinematografici relativi ai due personaggi del titolo. L’originalità, in questo caso, sta nel far incontrare i due a Parigi, facendoli innamorare delle rispettive donne. Soltanto l’odio verso Richelieu li unisce in questa storia che li vede rivali in amore e non solo. Altra citazione, ancor più meritata, spetta a I sequestrati di Altona (1968), di Vittorio De Sica, con Sophia Loren, Fredrich March, Maximilian Schell e Robert Wagner. Film drammatico, nel quale De Sica ripercorre le tappe del dramma umano di un ufficiale tedesco alla fine della seconda guerra mondiale, che finirà con il pagare con la vita la sua vigliaccheria e l’amore per la cognata Johanna.

Ma il secondo capitolo della storia degli stabilimenti Tirrenia, quello per l’appunto relativo alla Cosmopolitan Film, ha vita breve. Il film francese citato poc’anzi, costruito per ottenere un importante successo commerciale, sorprendentemente delude ai botteghini, convincendo Malenotti a lasciare la struttura nelle sole mani di Ponti. I periodi nei quali i teatri di posa sono vuoti si allungano sempre di più. Lo stesso Ponti preferisce far girare altrove tanti film dei quali è produttore. Egli, alle critiche ricevute per lo stato di crescente abbandono degli studios, risponde che i costi di Tirrenia sono troppo alti. Il noto produttore prova ad affittare gli studi alla RAI che, però, dopo una breve trattativa rifiuta. Così, alla fine degli anni Sessanta anche la Cosmopolitan chiude i battenti, e gli strascichi legali e fallimentari giungono sino a non molti anni fa, tanto che il quotidiano La Nazione, soltanto nel maggio 2000, torna sulla vicenda Cosmopolitan dando la notizia della messa all’asta da parte del Tribunale di Pisa di tutta l’area in cui sorgevano gli studi, che poi si è cercato di utilizzare come centro turistico e sportivo.

La fascia costiera tra Pisa e Livorno è, quindi, da sempre nella storia del cinema italiano e internazionale: dalla sua scoperta da parte di Hollywood negli anni Venti alla nascita degli studi nel decennio successivo; dalla presenza del neo-realismo nell’immediato secondo dopoguerra all’esperienza della Cosmopolitan negli anni Sessanta. E dopo un quarto di secolo di assenza dalle scene del nostro cinema, quelle zone del litorale toscano sono tornate a far parlare di sé sul grande schermo, grazie ai film del regista livornese Paolo Virzì, a partire da Ovosodo (1997), che ha fatto da apripista nel riportare l’attenzione del cinema e della fiction televisiva in quel magnifico tratto di terra toscana.

Franco Baccarini

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