Corriere dello Spettacolo

La grandiosa antologica postuma di Botero a Palazzo Bonaparte

 

Si conferma ancora una volta valido l’asserto sostenuto dal sommo poeta romantico e cristiano A. Manzoni nell’Ode “5 Maggio” in memoria di Napoleone secondo devono essere la Storia ed i posteri a giudicare se quella d’eccelsi e virtuosi uomini di cultura, dalle discipline letterarie a quelle artistiche e scientifiche , ovvero le sette che formavano il “cursus honorum” dell’individuo classico, fu o meno vera gloria. Questo l’abbiamo pensato assistendo all’anteprima stampa della mostra in onore di Fernando Botero, che nato a Medellin in Colombia nel 1932,morì il 15 settembre dello scorso anno con il pennello in mano mentre continuava a coltivare la sua passione – ossessione per il disegno che praticò fin da giovane, come tutti noi facciamo con le nostre inclinazioni e disposizioni psico – intellettuali o spirituali,per cui non avrebbe mai smesso di realizzare l’espressione istintiva delle sue emozioni, passioni e sensazioni, che lo portarono a viaggiare molto dalla sua terra natia, all’Italia, con Roma, Pietrasanta e Mantova, alla Francia con la capitale della “Belle Epoque “ Parigi e poi la Spagna con Madrid ed il Museo del Prado. La sua morte sul “campo” è paragonabile a quelle di Toscanini intento a dirigere la musica dal podio ed Orazio Orlando per un infarto improvviso nel recitare al Flaiano per un improvviso fulminante infarto nel 1990.Quella d i palazzo Bonaparte con il famoso e caratteristico balconcino che s’affaccia su piazza Venezia, dove abitò Letizia Ramorino madre del grande condottiero corso creatore del primo Impero francese e morto nel 1821 nell’isola di Sant’Elena, è un’antologica completa di tutte la varie fasi dell’attività di Botero, che noi imparammo a conoscere nella sua nazione dove nacque anche uno dei due “Libertadores” dell’America latina Josè de San Martin da unire al venezuelano Simon Bolivar,comprendendo più di 120 capolavori che rappresentano tutte le diverse tecniche in cui egli s’adoperò con ottimo successo, avvalorato dalla platea di critici, operatori culturali ed anonimi estimatori che dovunque l’hanno lusingato con commenti favorevoli e la fotografia ricordo delle sue opere, come accaduto lunedì scorso nei due saloni del vetusto e rinomato palazzo,in cui s’è potuta osservare una ricostruzione didascalica perfetta in chiave di documento filmico della sua esistenza ed inossidabile, inesausta, attività specifica senza cui non poteva stare. Il suo itinerario artistico spazia dalla pittura alla scultura, dai disegni agli acquarelli, toccando innumerevoli campi d’interesse che illustrò con accenti vivissimi di colore e forme sovrabbondanti di volume per esprimere tutta la gaiezza, abbondanza e ludicità della vita, fatta a suo avviso assai eclatante per essere goduta in pieno fino all’estremo capolinea, all’ultimo respiro, come appunto s’è concesso, pur non trascurando la sua adorata moglie ed i due figli, un maschio ed una femmina. La cura ed allestimento dell’elegantissima e doviziosa esposizione sono state opera della figlia Lina che ha selezionato più di 120 creazioni paterne con l’ausilio della consulenza critica di Cristina Carrillo de Albornoz studiosa della produzione d’una delle maggiori insigni figure della patria del cartello della droga della sua città natia, che si propone ora di divenire grazie a Fernando terra di riscatto con il primato dell’emancipazione culturale , in primis artistica. Ecco perciò che risaltano la pittura ad olio,i pastelli, il disegno a matita e carboncino specialmente nella stanza “ad hoc” per questa tecnica,insieme alle sanguigne e le tele dalla sfavillante policromaticità, oltre all’imponenti sculture provenienti dal marmo della Toscana con le fonderie di Pietrasanta. Proprio l’Italia nostra, la patria della cultura mediterranea, l’ispirò con i colori dell’arcobaleno e le straordinarie massicce forme di materia volumetrica. A Mantova nel palazzo dei Gonzaga ammirò “la camera degli sposi” e ne fece oggetto della sua rielaborazione artistica come per “la Menina “ di Velasquez e le scene della corrida con i “matador” e “picadores”, alla cui scuola inizialmente era stato avviato dai nonni, che poi lasciò per l’Arte e ritrovò nei quadri di Goya e Picasso al Museo del Prado. A questi soggetti rinascimentali si aggiunsero quelli contemporanei delle strade della sua origine ispanica,dei paesaggi , delle nature morte, dei fiori rosa , blu e gialli e della violenza degli Usa sui prigionieri iracheni nella prigione di Abu Ghraib per la guerra contro Saddam con gesti di protervia umana efferata ed eseguita con dileggio e disprezzo del carcerato. A tali crimini vanno sommati quelli conosciuti nella sua Colombia da parte del sistema politico e per cui per un cedro periodo preferì essere esule. Il suo primo premio lo riportò nel 1961 allorché il Museo of Modern Art di New York acquistò il suo “Monna Lisa all’età di dodici anni” realizzato due anni prima e lui cominciò a viaggiare per il mondo. Il suo stile è impresso dalla voluminosa ed opulenta fisicità sovrabbondante, la tipica bulimia che manda in crisi i giovani per non essere ritenuti belli e piacenti, bensì privi di gusto e dignità personale,che spesso spinge a cadere nella depressiva e pericolosa anoressia. Tale concezione artistica lo portò a realizzare opere di gigantesche proporzioni con rese tridimensionali e sfolgoranti colori che provocano l’estasi degli occhi abbacinati da tanta energia espressiva con sinuosità sublimi per la sinestesia che promana d’impeto dai soggetti che si guardano, come la rilettura di Ludovico Gonzaga che sulla parete nord legge la missiva che il segretario Marsilio Andreasi gli ha recapitato mentre i famigliari gli sono intorno e vicino accucciato c’è il suo fedele cane. Questa opera “Omaggio a Mantegna” non è mai stata esposta prima e proviene da una collezione privata degli Stati Uniti, in piena campagna elettorale resa incandescente dai due tentativi di assassinio di Trump,dopo la ritirata dI Biden per una più aggressiva e dinamicamente vitale Kamala Harris che forse riuscirà nell’impresa sfuggita ad Hilary Clinton,per gentile prestito straordinario. Codesta affascinante rielaborazione coloristica e “sui generis” del quadro di Mantegna gli permise di aggiudicarsi il primo premio al Salone Nazionale di Pittura della Colombia nel 1958.Tuttavia vi sono anche altre tele dell’Arte Umanistica che lo stupirono ed indussero a comporre con la tavolozza dei colori alcune sue indimenticabili creazioni leggendarie : la “ Fornarina” da Raffaello,il dittico dei Montefeltro da Urbino , che noi ci siamo portati come souvenir della mostra di Piero della Francesca,i ritratti borghesi di Rubens ed il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” d Van Eyck, fino all’epilogo della sua ingente produzione nello scorso anno prima dell’immancabile decesso quale il suggestivo acquerello dell’ “Odalisca”.La sua passione per il circo e la corrida è posta con una straripante serie di prototipi dei personaggi dei due mondi al secondo piano, dove come di consueto a singolare chiusura v’è la sfiziosa e dolce, intima, cameretta a specchi in cui si vedono mirabilmente riprodotte in primissimo piano e lucente evidenziatore le centinaia di opere ammirate. Da qui il commento singolare di Botero “Non ho mai trovato altro nella vita che mi causi altrettanto piacere”.Dallo studio parigino di Botero arriva la parodia de “Las Meninas” di Velasquez di cui fece numerose versioni, tra cui la migliore è quella dell’Infanta Margarita d’Austria, che ha una nuova maestosa sontuosità e grandezza di figura. Nell’ultima sperimentazione tecnica degli acquarelli del 2019 la sua pittura si fa più delicata, rarefatta e diafana con uno stile più sintetico e levigato per i suoi temi multipli ,dalla religione , ala mitolgia ed alla “still life”.Non è un caso che la prima somma esposizione delle realizzazioni di Botero per ricordare il primo anniversario della morte avvenga in Italia,poiché nel nostro Paese a 20 anni, secondo l’intendimento critico della Carrillo de Albornoz, con i pittori del Cinquecento, quali Piero della Francesca con la Santa Croce della Chiesa di San Francesco ad Arezzo, Paolo Uccello e Masaccio, le loro impressionanti opere massicce ed irradianti arcobaleni, avvenne la sua evoluzione vitale, o metamorfosi esistenziale ed intellettuale , da “matador che doveva essere per i suoi familiari. Questi gli infusero l’amore per il volume quale trascendenza dal livello terreno nell’Arte. La superlativa mostra è stata realizzata e voluta da Arthemisia in collaborazione con la Fernando Botero Foundation ed in “partnership”con la Fondazione Terzo Pilastro Internazionale e Poema. Botero confessò sul punto di lasciare questa terra “Ho cominciato a dipingere a 14 anni e nulla poi ha potuto interrompere la mia indefessa cavalcata alla tavolozza, in quanto ho avuto una costante fame d’arte per esplorare i problemi legati alla pittura” L’esposizione resterà aperta fino al 19 gennaio del prossimo anno.

Giancarlo Lungarini

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