Corriere dello Spettacolo

Il cappello di Paglia di Firenze al Teatro alla Scala di Milano

 

La vita è sogno ? Ebbene sì. Un sogno. Il regista Mario Acampa, regista e autore degli spettacoli del Teatro per ragazzi, chiamato dal Teatro alla Scala a mettere in scena dopo la pausa estiva la farsa musicale Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota, immagina che la strana vicenda narrata dal libretto non sia altro che un sogno del protagonista Fadinard.

Interessante scoprire che il Maestro Rota ha iniziato a scrivere la musica durante la Seconda guerra mondiale intorno al 1944/1945 insieme a sua madre Ernesta che ne firmò il libretto insieme a lui. Madre e figlio che si ritrovano a scrivere un’opera spensierata rispetto alla tragedia immane intorno a loro è non solo commovente, ma soprattutto un simbolo di resilienza: la musica come forma straordinaria di libertà, di speranza, di evasione.

L’opera come un sogno ad occhi aperti !

 

Siamo nel 1955, al tempo della prima al Teatro Massimo di Palermo, di questo spumeggiante capolavoro un po’ opera, un po’ operetta con echi mozartiani, rossiniani, pucciniani, e tutto questo viene raccontato nel corso dell’ouverture – Fadinard è un semplice addetto alle pulizie di un cappellificio francese (emblematica l’insegna E. Rota et Fils) un giovane maltrattato dagli operai e addirittura picchiato da un cliente. Un pugno fatale purtroppo gli fa sbattere la testa e dà origine al suo fantastico viaggio onirico, uno spazio ideale dove si trova finalmente protagonista della sua vita.

L’opera arriva alla Piccola Scala nel 1958 con la direzione di Nino Sanzogno e la regia di Giorgio Strehler, per poi conquistare il palcoscenico del Teatro nel 1998 con Bruno Campanella sul podio, regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi con Elizabeth Norberg-Schulz e Juan Diego Flórez protagonisti impareggiabili.

 

Fin dall’inizio dell’opera colpisce il ritmo teatrale incalzante, a tratti eccessivo, assicurato dalla grande macchina scenica di Riccardo Sgaramella scenografo, che ruotando svela i diversi spazi della fabbrica dove si finge l’azione. Pause e cambi scena di fatto non ci sono: tutto avviene in scena in un flusso continuo, con i cantanti che salgono e scendono, entrano ed escono dai vari ambienti a un ritmo molto sostenuto, in qualche modo in linea visivamente con ciò che il coro ripete ossessivamente nel corso dell’opera, “Tutta Parigi noi giriam”, come un lungo piano sequenza cinematografico in cui tutti entrano ed escono da quella fabbrica stregata. Seguire il ruotare delle scene e l’andamento drammaturgico della storia non è così semplice. Si resta affascinati dal dinamismo musicale, dalla direzione di Donato Renzetti che con l’Orchestra e il Coro dell’Accademia rapisce il pubblico e lo trasporta nel mondo dei sogni. Il Maestro Renzetti si conferma musicista di grande spessore nella capacità di valorizzare la scrittura di Rota, assecondando quella straordinaria capacità del compositore di citare e deformare le citazioni, divertendo e facendo divertire in un continuum incessante.

 

Da apprezzare la meticolosa cura che il regista Acampa ha profuso in ogni particolare, le studiatissime movenze dei personaggi mutevoli e rapide in perfetta sintonia con il continuo movimento del fabbricato a forma quadrata. Una produzione tutta centrata sul sorriso e sull’ironia, leggera, divertente, pensata e rifinita con grande cura dei dettagli.

Un libretto non facilissimo da mettere in scena vista la complessità della storia.

Ma il regista Acampa  ha risolto lo spettacolo in modo veramente encomiabile.

La Parigi di Rota è una atemporale Ville lumière dove si balla, si canta, ci si diverte, ci si ubriaca, si moltiplicano gli equivoci, ci si rincorre con pistole alla mano. Un ritmo frenetico e caotico.

Belli e preziosi i costumi dai colori pastello di Chiara Amaltea Ciarelli che spaziano dal rigore di metà novecento ( anni ’50)  allo sfarzo scintillante delle feste ottocentesche.

La presenza di otto mimi danzanti, su coreografie di Anna Olkhovaya, contribuisce alla vivacità dell’insieme che conserva sempre una leggerezza, una delicatezza in linea con lo spirito della musica.

Sempre adeguate, precise e funzionali all’azione le luci di Andrea Giretti.

Se visivamente lo spettacolo ci ha soddisfatto e sorpreso non da meno sono stati i giovani e promettenti cantanti dell’Accademia Teatro alla Scala.

Colpisce il loro entusiasmo e la voglia di mostrare il proprio talento; non si stancano di sperimentare un lavoro complesso come questo che richiede tempi teatrali perfetti e una padronanza scenica sul palcoscenico.

Il cast, giovane ed entusiasta, ha saputo trasmettere al pubblico tutta la vitalità della musica di Rota, pur con livelli diversi.

Partiamo dal bravissimo Pierluigi d’Aloia : ha saputo vestire i panni del protagonista Fadinard in modo straordinario. Canta con eleganza ed espressività. La voce del tenore risulta educata, caratterizzata da un piacevole vibrato naturale ed adeguata alla parte. Notevole è stata poi la capacità interpretativa in un ruolo complesso tutto giocato sull’ironia e su una dinamicità teatrale.

Un grande plauso a questo artista: una piacevole rivelazione, musicale ma non solo.

Al suo fianco Elena, la promessa sposa, interpretata da Laura Lolita Perešivana.

Una buona prova grazie agli acuti ben sostenuti ed una voce che si faceva sentire nel Teatro. Grande presenza scenica e perfetta l’intesa nei duetti con Pierluigi d’Aloia.

Potente la voce del basso Huanhong Li nella parte di Nonancourt spesso chiamato nella partitura ad essere quasi un Don Basilio di rossiniana memoria. Buona la sua prova, ma la pronuncia, non sempre corretta, risulta migliorabile.

Tanti i debutti di giovani allievi; da segnalare un nome noto ai melomani, quello di Vito Priante che ha portato la sua esperienza e sicurezza sul palco. Il suo Beaapertuis è risultato credibile, divertente e soprattutto ha convinto il pubblico con la splendida esecuzione dell’aria e scena che apre il terzo atto.

Degna di rilievo anche il contralto Marcela Rahal, La baronessa di Champigny, coniuga charme ed emozione grazie al bel colore e presenza scenica. Ha saputo portare sul palco una nobile passionale e focosa. Ha convinto il pubblico con il colore accattivante della sua splendida voce.

 

L’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala ha suonato con grande professionalità, offrendo una prova di maturità e capacità. A questo risultato si è giunti grazie ai consigli e all’impegno del Maestro Renzetti che ha condotto la compagine orchestrale all’insegna del brio e del divertimento regalando al pubblico milanese una piacevolissima serata.

Un plauso meritato anche al Coro dell’Accademia: tutti i giovani artisti hanno saputo essere convincenti e sempre intonatissimi.

Una serata conclusa da grandi applausi a scena aperta, tanto entusiasmo e tanta gioia per tutti.

g.F. Previtali Rosti

Foto Brescia e Amisano
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