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Kirill Petrenko esalta Der Rosenkavalier

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Il Cavaliere della rosa, commedia per musica di Hugo von Hofmannsthal… musica di Richard Strauss: così sul frontespizio della partitura, a rilevare l’importanza del librettista- poeta nella preparazione di questo lavoro. Il libretto, opera di uno dei maggiori poeti novecenteschi, è già un capolavoro in sé; combina elementi della commedia d’intrigo con quella di carattere, un pizzico di farsa e un po’ di satira, il tutto legato dal sopraffino humor di Hoffmansthal, simbolista e poeta; Richard Strauss l’ha avvolto di una musica conturbante dall’inizio alla fine. Un leggero senso d’anacronismo si avverte per il reiterato impiego di walzer (inimitabile atmosfera di leggerezza e poesia), ma è una sensazione creata ad arte dal musicista che rimanda, ancora una volta, alla fine di un’epoca. Der Rosenkavalier è capolavoro del sodalizio tra compositore e poeta, nonché l’opera cui arrise maggior successo nel XX secolo, se si escludono i fortunati lavori di Giacomo Puccini. Hoffmansthal, dopo le esasperazioni di lavori come Salome ed Elektra, si piega al desiderio di Strauss di avere tra le mani un lavoro dal tono “mozartiano”: con un occhio a Le Nozze di Figaro, Cherubino prende le vesti d’Octavian, mentre La Contessa si reincarna nella Marescialla. La complessità del lavoro di Hoffmansthal non termina con Mozart, tutta una serie di riferimenti s’intravede a una più attenta disamina del libretto: si va da Molière a Hogarth, da Beaumarchais al meno conosciuto Louvet de Couvray. L’azione si svolge a Vienna nel XVIII secolo, durante il regno di Maria Teresa. La discutibile conclusione morale della straussiana Salome o l’aspra dissonanza di Elektra, operano contro la permanenza di questi lavori nel repertorio dei teatri; il che non avviene per Der Rosenkavalier, che inizia con una sontuosa introduzione orchestrale, tipica di Strauss, a dare l’idea del “clima” che si respirerà. Un capolavoro “malinconicamente inattuale”, per quella leggerezza spensierata e sovrano sprezzo della coerenza stilistica: testimonianza di un vivere tranquillo e raffinato, dedito ai piaceri della cultura e dell’arte, di cui il vecchio continente era stato maestro e faro indiscusso nel mondo: una scommessa per noi, calati in una temperie storica prossima alla barbarie. Der Rosenkavalier pur presentando numerosi motivi conduttori, rivela una ricchezza melodica semplicemente superba, insospettabile nel compositore dei grandi poemi sinfonici. La Marescialla e il tenero, conturbante Octavian, sono due personaggi carichi di sentimento, sforzo compiuto da Strauss per rappresentare con ricchezza di sfumature l’animo umano. Curioso ricordare come il compositore si sia dedicato anche a uno speciale “arrangiamento” orchestrale dello spartito, preparato per una versione cinematografica dell’opera, proiettata in uno dei più grandi cinema londinesi, The Tivoli, nell’aprile del 1926. In scena per la prima volta alla Koniglisches Opernhaus di Dresda il 26 gennaio 1911, Der Rosenkavalier approderà al Teatro alla Scala poco dopo (ma in versione ritmica italiana) l’1 marzo, diretta dal Maestro Tullio Serafin. Strauss riferisce di queste rappresentazioni come “della battaglia di Milano”. Der Rosenkavalier è un’opera che ricorre con discreta frequenza nei cartelloni degli ultimi due decenni del Teatro milanese (2003, 2011 e 2016) tornando a proporlo nella coproduzione con il Festival di Salisburgo, regista Harry Kupfer. La difficoltà principale, nel presentare questa “audace” commedia romantica, è trovare esattamente l’età dei personaggi principali, e la giusta distinzione di classe sociale: in questo senso la concezione perseguita dal regista Harry Kupfer, coadiuvato dallo scenografo Hans Schavernoch, dal costumista di Yan Tax, dalle luci di Jürgen Hoffman e dai video di Thomas Reimer era funzionale, caratterizzata dall’attenzione del regista per ogni dettaglio: un concatenarsi di movimenti scenici che intreccia la tensione del dramma sovrapponendosi alla fluidità della musica, anche se non sempre riesce in maniera accattivante. Sul podio Kirill Petrenko, Direttore dei Berliner Philharmoniker, all’attesissimo debutto scaligero, non delude le aspettative degli appassionati. Il Maestro russo naturalizzato austriaco, alla guida dell’Orchestra del Teatro alla Scala in gran forma, non ha perso un’occasione, una frase per esser grande. Si è messo in evidenza per una direzione serratissima e fluida, trasparente, sensualmente rifinita e ritmicamente convincente: impetuoso, capriccioso e molto spiritoso. Gli splendori orchestrali della sinfonia, ogni accompagnamento era un perfetto lavoro di cesello, senza mai sperdere la tensione che intesse e permea la partitura. Interessante cast capitanato dalla Feldmarschallin di Krassimira Stoyanova che realizza il personaggio partendo da una malizia iniziale di donna ancor nel pieno delle sue attrattive. Voce di timbro gradevole, riesce convincente nel duettar d’amore con Octavian per poi rendere il malinconico passaggio a uno stato di vita consapevole del tempo inesorabilmente passato, a metà del cammino esistenziale. Di contro è senza allure e di debole carisma principesco quando deve affrontare il fraseggio imperioso, che risulta scarsamente incisivo e pregnante. Günther Groissböck ha il perfetto physique du rôle per il supponente Baron Ochs atto a interpretare intelligentemente un nobile di campagna, lontanissimo dalla caricatura di  aristocratico in cui si relega spesso il personaggio. Energico e interessante attore, si giostra bene nel doppio ruolo di futuro marito e amante impenitente, mantenendo la commedia su un tono divertito, mai facendola degenerare in farsa. Intenzioni che non sempre si riscontrano vocalmente, quando il canto si appesantisce e scade in suoni fastidiosamente fissi e soprattutto di pochi colori. Vedasi nel primo atto la mancata differenziazione nei colloqui con Octavian-Mariandel e la Marescialla, condotti su un tono monocorde. Kate Lindsey, nella parte en travesti di Octavian è stata meno convincente. Abbastanza spigliata in scena nel portamento di spavaldo giovanilismo, carica esageratamente la caratterizzazione di Mariandel. Offre al personaggio voce proiettata ma di colore troppo chiaro (e non sempre ben sostenuta nelle mezze voci) per avere quella sensualità disarmante che travolge la Marescialla, rendendosi poco credibile e avvenente a confronto del troppo attraente e sanguigno rivale Baron Ochs. Assolutamente deliziosa Sophie di Sabine Devieilhe dal canto limpido e quasi strumentale, sa imprimere alla figura della giovane innamorata una forza d’animo piena di vitalità nel II atto, un fraseggio di tenero nervosismo giovanile nei bellissimi duetti con Octavian per essere poi la Nemesi del Baron seduttore Ochs nel III. Interprete appassionata, fonde bene il suo strumento vocale con quello di Octavian, giungendo a perfetta adesione nel trio del finale III, quando la Marescialla si unisce al canto dei due innamorati. Efficace Faninal di Michael Kraus; ein Sänger era affidato a Piero Pretti, dotato di acuti squillanti e buona proiezione vocale, ma incespica in un’interpretazione quasi caricaturale del personaggio. Mediocre anche se generosa Marianne Leitmetzerin di Caroline Wenborne; Valzacchi grezzo vocalmente quanto stereotipato nella rappresentazione della coppia d’intriganti italiani di Gerhard Siegel, che si rifletteva nella tubata voce di Annina dell’insufficiente Tanja Ariane Baumgartner. Le altre innumerevoli piccole parti del lungo cast erano tutte rese con puntuale caratterizzazione. Ottimo il Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala diretto da Marco de Gaspari. Successo festosissimo per tutta la compagnia di canto, da parte di un pubblico partecipe che ha riservato a Kirill Petrenko vere e proprie ovazioni.

gF. Previtali Rosti

Foto Brescia e Amisano

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