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Al XXIV Festival Verdi torna “La battaglia di Legnano”

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Nello scrivere al librettista Salvatore Cammarano Verdi si auspica di ricevere “un dramma breve, di molto interesse, di molto movimento, di moltissima passione” questo perché “mi riesca più facile musicarlo” E di passione si può dire che la Battaglia ne sia permeata tumultuante di affetti sanguigni e passioni al calor bianco. Andata in scena a Roma al Teatro Argentina il 27 gennaio 1849 i romani battezzarono La Battaglia di Legnano come opera “rivoluzionaria“ costellando la recita della prima da episodi di delirio e fanatismo: opera verdiana proclamata a furor di popolo un capolavoro, ebbe il potere di trasformare la serata in qualcosa che si avvicinava a un rito taumaturgico. Non casualmente, dopo due settimane, ci fu la proclamazione della Repubblica Romana. Gli elementi patriottici o risorgimentali non costituiscono però il fulcro dell’azione della Battaglia, ultimo lavoro verdiano basato sulla tematica insurrezionale.  Sulla minor novità compositiva e rarefazione creativa (avercene!) di questo melodramma (che mostra tuttavia un impeto trascinante cui non si può non soggiacere e una qualità musicale per niente disprezzabile, anche se non originalissimo nella trama), si sono avanzate varie supposizioni; dai rovesci militari di cui il Verdi parigino era costantemente informato, sommati alla fatica stratificatasi nei cosiddetti “anni di galera”: ben dodici opere dal 1842 al 1849. Col fatidico “1848” Verdi sentì conclusa la missione verso la Patria, l’Italia sollecitata musicalmente aveva reagito: l’evocazione patriottica costituiva ormai un tema che aveva fatto il suo tempo e in questa composizione il cigno di Busseto trova l’ispirazione più convincente nel dramma d’amore e di morte che sbalza dal permeante sentimento dell’unità della nazione. Innescato il meccanismo, bisognava attendere che i sentimenti nascessero e s’invigorissero negli italiani, apporto dato in larga misura anche dai nostri compositori, simultaneamente all’opera compiuta da poeti e pensatori. A Verdi, esaurita la stimolo del compito sociale e umano, restava concentrarsi sulla sua produzione operistica, che proprio con La Battaglia di Legnano mostra inequivocabili segni di rottura col passato e presenta germi per il futuro. Da qui si può definire come la composizione melodrammatica da cui ha inizio il rinnovamento che porterà alla maturità artistica del compositore con la produzione della famosa Trilogia popolare: Rigoletto, Trovatore e Traviata. Il XXIV Festival Verdi di Parma mette in cartellone La Battaglia di Legnano dopo l’allestimento del 2012, (curato da Pier Luigi Pizzi) affidandone la cura alla regista Valentina Currasco, che crea un intrigante spettacolo a partire dagli effetti luci in proscenio, suscitando la bandiera d’Italia, alla base di un muro grigio su cui si proiettano video iconografici di battaglie nell’arte e campi di combattimento. Dal velatino s’intravede una schiera di cavalli e soldati, bel tableaux vivants: da questa immagine di compenetrazione tra umani e cavalli nasce l’idea portante di tutto l’allestimento, incentrato molto sui cavalli, di cui sono esaltate la forza e la muta dedizione, per arrivare a essere innocente quanto muta vittima sacrificale. Saranno allora le scuderie, il testimone dell’incontro di Arrigo e Lida con il sopraggiungente Rolando, ma il martello provvidenzialmente presente per aprire il varco di fuga ad Arrigo (che non si precipita dal verone) non appare ben risolto. Così come risibile ingenuità appare la carrozzina anni ’60. Strizza infine l’occhio, per ricordarci gli interni in cui si svolte la vicenda, ai bozzetti di Luciano Damiani della Battaglia scaligera del 1961. Margherita Palli responsabile delle scene, Silvia Aymonino per i costumi, luci coinvolgenti di Marco Filibeck. Antonio Poli al debutto nel ruolo di Arrigo mostra generosa baldanza, ma inizialmente la voce suona aperta e carente di smalto, non ben proiettata pur capace di smorzare e tentare un fraseggio sfumato, La pia materna mano è resa in modo accorato, ma le mezze voci tendono a sbiancarsi. Nel duetto È ver? sei d’altri? non perviene a un fraseggio pregnante e approfondito, superficialmente aderendo al personaggio ma in maniera stentorea e altisonante a fonte del soprano, più credibile ed efficace, come nel duetto successivo Scostati…va’… tu mi desti orror! al calor bianco con sapide, quanto leggere variazioni, nella ripresa. Sempre partecipe per il resto dell’opera, raggiunge piena credibilità nel commovente finale Per la salvata Italia…trapuntato da preziose mezze voci. Vladimir Stoyanov era Rolando, fin dall’inizio figura più paterna e amichevole che credibile furente rivale e contraltare amoroso, caratterizzato da un fraseggio efficace quanto generico e da acuti perennemente “schiacciati”. In Digli ch’è sangue italico gli accenti sono accorati, ma tutto resta in superficie così come generici sono gli impeti di Ahi! scellerate alme d’inferno, costantemente sui generis. La vera protagonista della serata è stata Marina Rebeka, anche lei al debutto nel ruolo, una Lida di bel timbro squillante, voce ben proiettata, che mette in evidenza nella cavatina Quante volte come un dono dal legato pregevole, appropriate smorzature, fraseggio accorato, sempre credibile e palpitante. La cabaletta A frenarti, o cor, nel petto è sostenuta con baldanza, è precisa nei passaggi melismatici e gli acuti sono sempre ben sostenuti e squillanti. Scintillante infine nel III atto nel dichiararsi rea dello scritto: calata nella psicologia del personaggio, patetica e commovente. Federico Barbarossa aveva il pregnante personale di Riccardo Fassi in teatrale apparizione a cavallo, ma ancor più un fascinoso timbro rotondo e sonoro, omogeneo nei registri, che gli permette di sfoggiare una valanga di energia drammatica nel finale II. Marcovaldo rozzo e vociferante, il vile ruffiano e delatore di Alessio Verna, Imelda mediocre di Arlene Miatto Albeldas, Podestà di Como e I Console di Milano voce ibrida di Emil Abdullaiev per finire con II Console voce grezza di Bo Yang. Inizio dell’atto III dominato dal Coro Del Teatro Comunale Di Bologna diretto da Gea Garatti Ansini. Sul podio il Direttore Diego Ceretta alla guida dell’Orchestra Del Teatro Comunale Di Bologna alterna sin dalla Sinfonia momenti credibili ad altri meno ispirati: a tempi rilassati susseguono clangori guerreschi, ad atmosfere lunari impeti patriottici di frizzante di maniera; una direzione dai tempi garibaldini ma fondamentale senza grande scavo né variata nei colori. Imprime nel II atto una ficcante velocità recitativa al Coro e in Orchestra del pari si odono opportune tensioni impresse al ritmo narrativo orchestrale.  Non si colgono sempre la forza teatrale trascinante verdiana, la sintesi e la capacità di coinvolgimento dello spettatore. Felicissima conclusione della serata, con calorose accoglienze per la compagnia di canto e il Direttore, si facevano addirittura entusiastiche per Marina Rebeka. L’ultima recita della Battaglia di Legnano al Teatro Regio di Parma è stata l’occasione per visitare la preziosa mostra di costumi, oggetti storici e cimeli nata dalla collaborazione fra la Fondazione Teatro Regio di Parma e la Fondazione Palio di Legnano, istituzioni che trovano nell’opera del 1849 di Giuseppe Verdi il punto d’incontro. L’esposizione metteva in mostra due libretti storici dell’opera, quello del 1849 (debutto assoluto) e del 1861, diversi costumi sia di scena sia ricostruzioni storiche – fra questi i mantelli del XII secolo appartenuti a Ruggero II, a Ottone IV e all’imperatrice Cunegonda – e cimeli come la corona di scena indossata dal soprano Giuditta Pasta nel 1876.

gF. Previtali Rosti

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