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“La vita è un sogno”, uno straordinario romanzo di Lodovica San Guedoro

Data:

 

Preparatevi a cadere nella nebbia di un sogno, sogno, non incubo.

Dimenticate tutto quello che avete letto prima, romanzi, fiabe, storie.

Dimenticate ogni device che utilizzate.

Qui si torna nel sogno, nella verità, non nell’IA.

Qui si torna nel futuro passato. Verrete avvolti in un vorticoso caleidoscopio di facce, gesti, vite. Teatro, cinema, letteratura qui si incontrano in un girotondo felliniano.

Che tipo di scrittrice è Lodovica San Guedoro?

Impossibile definirla, ognuna le andrebbe stretta. Drammatica? Sì. Fiabesca? Sì. Rivoluzionaria? Sì. Passionale? Sì. Eccessiva? Sì. Dolorosa? Sì. Virtuosistica? Sì. E potrei continuare a lungo. Il suo rapporto col mondo è sognante e sanguinante al tempo. Come in un dramma pronto alla rappresentazione teatrale, racconta se stessa e le sue avventure/disavventure sempre col suo sguardo particolare: insolito, e magnetico.

LA VITA È UN SOGNO. Lo è veramente per lei, e forse anche per noi.

 

Questo romanzo fantasmagorico e teatrale si svolge in treno. Durante una sosta in una radura fiorita, una bambina fantasiosa, figlia della bellissima Meteora, getta bocconi della sua brioscia a degli strani uccelli…  Le conseguenze di questo suo ingenuo gesto saranno incommensurabili. Nell’onirico, inesorabile progredire del tempo, dagli anni Cinquanta al 2002, il potere degli uccelli maligni si estenderà come un morbo incurabile, causando l’infelicità e il tormento di coloro che hanno ancora un’anima, tra cui la bambina divenuta artista, che, dopo aver attraversato l’inferno dell’abiezione  umana, si ucciderà infine con un colpo di pistola. Nell’ultima scena ritorna la radura fiorita e assolata, ritorna la pace, l’armonia, e ritorna la bambina di sette anni che però, ammonita… non darà più da mangiare agli uccelli.

 

Ecco il secondo capitolo, nel quale la bambina causa involontariamente il maleficio:

 

La luminosa radura in fiore incastonata nel verde cupo del bosco di lecci, la fonte, la vasca, il ruscello.

La merenda è conclusa. La tovaglia, vivacemente macchiata di rosso, è sparita. Calici e bottiglie di cristallo, ormai vuoti e puri, piatti di trasparente porcellana, sommersi da colorate bucce di frutti, ed eleganti posate d’argento formano una leggiadra, affascinante

composizione fra l’erba. Chissà chi ne è l’autore, se è stato uno o sono stati in più ad avere questa mano felice e questo occhio divino.

Appoggiato al tronco d’un albero, il signore anziano si è serenamente assopito. Dormono anche, sparsi sul prato, le fanciulle e i giovani, in coppie; quello malinconico, disteso accanto a una delle fanciulle che hanno raccolto i fiori; è lui, che ha ora la ghirlanda intorno al capo…

Ma non c’è davvero nessuno che sia sveglio?

Sì! Solo due.

Due.

La giovane signora e il giovane uomo fiorente.

Lei sta immergendo la tovaglia nell’acqua della vasca, lui, seduto sul bordo, sta contemplando lei.

Ma ben presto, rompendo il silenzio:

“Continua a non voler volgere a me le stelle dei suoi occhi divini,Meteora. A quanto pare, è per lei più importante una qualsiasi tovaglia, un pezzo inanimato di stoffa. È questo il suo vero nome, Meteora? Non lo credo. Perché si nasconde dietro un falso nome? Crede, con questa astuzia, di far perdere le sue tracce agli amanti fedeli? Chi è lei? Una creatura celeste, questo sì, inviata sulla terra per la dannazione degli uomini. Ma chi? Parli! Non mi torturi col suo silenzio crudele!”

Lei, alzando la tovaglia:

“Insomma, non sono né celeste né tanto meno crudele…”

“Ma?”

“Ma semplicemente quella che sono. Guardi nell’acqua. Ora è di nuovo uno specchio. Cosa vede?”

Guardando nell’acqua, lui:

“Vedo il suo volto incantevole”.

Ridendo, lei:

“Ma no! Vede una donna sposata”.

Imbronciato:

“Ma che vuol dire sposata? Non può aver marito una fata… E poi, se anche lo ha, lui non l’ama, lei non l’ama… È una canzone antica”.

Guardandolo, con uno scoppio di riso:

“Questo lo dice lei, chiacchierone, scusi: poeta!”

“Mi offende?” Con un sospiro: “Ma le sue offese sono per il mio cuore altrettanti baci, baci amari, e pur baci”.

“Su, su…”

“Mi dà un bacio vero?”

“Lei scherza!”

“Lei lo vuole, ma non ne ha il coraggio!”

“Questa poi! Si fa impertinente!”

Sciacquando con energia la tovaglia:

“E non si approfitti di questa circostanza, sa che eravamo venuti qui solo a sciacquare la tovaglia. E ora stia zitto. Non siamo più soli”.

Sono infatti sbucati in questo momento dal bosco la signora anziana e la bambina.

La bambina, correndo eccitata:

“Mammina, abbiamo incontrato gli uccelli fatati!”

Meteora, con uno smagliante sorriso materno:

“Oh! Che fortuna hai avuto!”

La signora anziana, avvicinandosi, con espressione strana, inquieta:

“Aveva dietro una brioscia. Io le avevo detto di non farlo”.

Meteora, strizzando la tovaglia:

“Cosa?”

“Di non dar loro da mangiare”.

Aggrottando la fronte:

“Non capisco perché”.

La signora anziana, dopo aver raggiunto la vasca, con sforzo, reticenza, ansimando:

“Erano degli uccelli strani… Diversi dagli altri…”

“Ma come diversi ?”

La signora anziana, con angoscia:

“Non avevano piume sul capo…”

“Saranno stati uccelli di una razza particolare”.

“Non lo so, non credo… Non erano uccelli naturali”.

Il giovane uomo, intromettendosi, con tono scherzoso:

“Sarà una nuova razza!”

“Ma possono esserci nuove razze nel bosco, in natura? E in più… razze non naturali?! Le dico che sembravano uccelli stregati. Credevo che l’evoluzione si fosse conclusa…”

Il giovane uomo:

“Non so, dovrei rileggere più attentamente Darwin. In un certo senso, però, l’evoluzione non dovrebbe essere mai conclusa. Non so in che senso, però”.

La bambina, infervorata, spalancando gli occhi:

“Quando gli ho tirato i pezzettini di brioscia, si sono ingranditi”.

La signora anziana, sottovoce, per non essere udita dalla bambina:

“Sono diventati in un attimo grandi come polli e, lei non se ne è accorta, hanno mangiato la farfalla”.

Tra gli adulti cade un silenzio sgomento.

 

Il finale dell’opera:

 

Dal buio assoluto, scaturisce prima il noto motivo de L’Arlesiana, poi la radura fiorita e assolata. Dove, serena e svagata, la bambina di sette anni sta sbocconcellando una brioscia, con la farfalla che le vola dietro. Quando degli strani uccelli le si posano intorno, sorride e fa per tirare loro molliche… Ma, improvvisamente, la sua fronte si rannuvola come per un brutto ricordo o presentimento, e la sua mano si ritira… Delusi, gli uccelli si rialzano

in volo. Lei girella di nuovo, serena e svagata, per il prato, mangiucchiando.

Poco dopo, urta con un piede qualcosa di duro, che non è una pietra. È una valigia. Incuriosita, la bambina la apre. La sua espressione è di intensa meraviglia. La valigia si rivela piena zeppa di fogli scritti… La richiude e, poiché sul limitare del bosco è apparsa

sua madre, le va incontro con questa, sorridendo illuminata d’una gioia solare…

 

Per sapere cosa c’è tra l’inizio e la fine, non rimane che leggere questo sorprendente, incantevole libro: LA VITA È UN SOGNO. 

Maria Antonietta Montella

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