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La perdita degli affetti con la scena di M. Pistoletto al Quirino

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La bravura d’un regista si misura non solo dal saper dirigere ed impostare la recitazione degli attori sulla scena, ma pure dall’essere in grado di rileggere una commedia o tragedia classica per operarne una trasposizione personale che la faccia uscire dai consueti canoni didascalici per renderla più viva e consona ai tempi sociali ed etici che si vivono, come Manzoni risolvendo il problema del nostro idioma nazionale disse che era costituito sì dal toscano ma non quello del “sommo padre” Dante bensì quello dei suoi tempi nel primo romantico Ottocento. Questo abbiamo apprezzato nella messa in scena al teatro Quirino alias Gassman della tragedia “Re Lear” del “bardo di Avon” in cui Alessandro Preziosi s’è concentrato sulla psicologia degli affetti e la donazione senile dei propri averi mal ripagata dal sovrano alle sue figlie, con la conseguente crisi di coscienza per lo smacco subito ed il tradimento del sangue paterno ad opera delle due maggiori avide ed ambiziose, sfrontate ed ipocrite, in lite tra loro per la mano di Edmund figlio del conte di Gloucester,Regan e Gonerilla , che avevano egoisticamente ingannato il padre,che capito l’artificio fraudolento aveva perso la ragione ed era uscito dalla corte in una notte da tregenda con una violenta tempesta atmosferica, accompagnato dal “fool” della reggia incarnato dalla minore delle sue fanciulle Cordelia, l’unica rimastagli fedele, che poi avrebbe sposato il Re di Francia, nonché il conte di Kent nelle finte vesti del servo Caio. Su questa prima parte dell’Es e del travaglio psichico e mentale s’è basato l’adattamento di Tommaso Mattei senza passare all’analisi delle vicende esterne ai protagonisti ovvero le battaglie, sal termine delle quali sarebbero rimasti il nobile e sentimentale Edgar “alter ego” di Edmund come secondo figlio di Gloucester, alla maniera di Caino ed Abele, i conti altresì di Kent ed Albany, marito di Gonerilla, concedendo la “Magna Charta” nel 1225 con i diritti delle classi aristocratiche, primo riconoscimento dei diritti civili della società privilegiata. Mattei ha assimilato il suo lavoro su quest’opera composta tra il 1605 e l’anno successivo sull’inutile attesa del ritorno del sovrano. Il dramma angosciante di Re Lear testimoniato dalla perdita della corona e ripiegato desolatamente su stesso in pieno deliquio senile è accentuato dal labirinto scenico disegnato con il contributo del designer biellese Michelangelo Pistoletto, ormai ultranovantenne, che sulla scena ha disposto quasi un labirinto , emblema della mente confusa del sovrano con le porte girevoli rosso ed azzurra ed i suoi rialzati numerosi elementi rettangolari verdi che formano un inestricabile impervio campo da superare per uscire, quasi fossimo nell’infernale selva dantesca. La progressiva tensione patologica del protagonista è rimarcata dalle musiche del maestro Giacomo Vezzani che segnano la caduta nella follia del proprio atteggiamento regale e nella cecità della corte che, differentemente dai profeti, dagli indovini quali Tiresia e Cassandra, oltre la Sfinge, lo dimenticano e non si curano più di lui quando la sua assenza dopo la tempesta si prolunga oltre il normale; nessuno lo cerca più differentemente da ciò che avviene oggi per le frane e l’esondazione delle acque dai loro bacini come negli ultimi alluvioni delle Marche e Romagna. Sentiamo sulla scena gli strambotti della figlia Cordelia con il bianco abito innocente come il suo animo,ritmi martellanti e struggenti, osserviamo commoventi,fasi epiche, romantiche scene , ad esempio l’abbraccio affettuoso tra il conte di Gloucester, impersonato da un integerrimo amico con una chiara scansione linguistica Nando Paone,e la prediletta figlia Cordelia devota al padre, in cui si muove con estrema dolcezza e delicatezza fonetica,Arianna Primavera. Il candore dell’animo, il consiglio saggio della voce come filo guida della pièce non più visibile negli occhi per la perdita della vista,prorompono dal puro,semplice e sensibile, Edgar nel cui ruolo giostra con ineffabile disinvoltura Valerio Ameli. Paone fu già Sganarello con Preziosi proprio al Quirino e pertanto il sodalizio si prolunga con soddisfazione del pubblico,lasciando il ruolo del conte di Kent al valente Roberto Manzi. L’impazienza della maturità e del lascito testamentario è quella che tradisce Re Lear, per cui ha desiderato trasmetterla come una prigione mentale affidandosi teatralmente alla progettazione scenica del maestro Pistoletto. Il potere perciò distrugge, vedremo che effetto farà ora sul rieletto presidente Trump il 47 degli USA,di solitudine si permea la vita regale come Re Carlo III d’Inghilterra abbandonato dal principe Hary . L’uomo è condizionato anche dalla Natura come i naufraghi e qui Lear è vittima della tempesta; esiste perciò un disordine dentro e fuori di noi che Pistoletto immagina con la disposizione scenica dei suoi elementi materici. L’individuo, per le teorie applicate da Preziosi, deve cercare l’equilibrio con la Natura, non deve esserne succube per i capi d’abbigliamento, ma limitarsi a quanto è sufficiente. Solo nell’essere nudo il soggetto dimostra quello che è e quindi gli attori spesso sulla scena sono così, tentando inutilmente Cordelia di far rinsavire il proprio genitore, di farlo rialzare dalla caduta del disastro combinato con le sue figlie, per cui s’aggira spaesato nella landa della foresta da cui non ritorna, mentre il Re Edipo di Sofocle accompagnato dalla figlia Antigone giunge a Colono, sobborgo dell’Attica vicino ad Atene. Questo rapporto tra Uomo e Natura è espresso dalle opere di Pistoletto, di cui ricordiamo la Venere degli stracci del 1967 e la collaborazione fattiva tra artisti e settori della società per la mutazione del tempo, che gli ha meritato tra l’altro il Leone d’Oro alla carriera della Biennale di Venezia nel 2007 con la motivazione di forme d’Arte indizio d’una nuova comprensione dell’universo. Pure i costumi nella loro unicità sono tipici di Pistoletto con una visionaria spoliazione e vestizione scenica fatta con il colore nero assenza in alcuni frangenti dell’arco policromatico del tessuto popolare,multiuso e riciclabile del denim a cui s’aggiungono mussole di cotone per coprire l’occasionali nudità. I colori dell’arcobaleno venono identificati come caratterizzazione di noi stessi, alla maniera della retorica domanda di Monica Setta alle sue intervistate in “ Storie di donne al bivio” su RAI 2 in seconda serata il mercoledì. Lo spettacolo suggestivo nella rivisitazione riduttiva di Tommaso Mattei sarà replicato al Quirino fino a domenica 12.

Giancarlo Lungarini

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