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Arte creativa e surrealismo scultoreo degli anni ’50 a Palazzo Bonaparte

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Ancora una volta nella storica residenza romana di Letizia Ramorino, madre di Napoleone, che con il suo balconcino s’affaccia su Piazza Venezia, abbiamo visto una stupefacente e meravigliosa esposizione artistica , che mette in risalto, come nel Museo delle Cere dalla parte opposta, degli artisti capaci di creare statue a cui manca solo la parola per essere vere. Questa tendenza innovativa dovuta all’abilità della mente umana ed alle risorse della tecnica acquisita, che non vuole lasciare il passo all’intelligenza artificiale, era stata già anticipata nel corso del XX secolo dalla “pop art”, dal nuovo realismo della pittura e delle foto, dall’iperrealismo scultoreo che hanno aperto la strada ad importanti sperimentazioni esoteriche. Continuando su questa via siamo arrivati, con interessanti rivisitazioni nelle dimensioni e proporzioni, a studi di genere ed identità di straordinario valore estetico, che danno l’impressione ottica della vera fisicità. Gli iniziatori del movimento negli anni settanta sono stati George Segal e Duane Hanson, che hanno indagato le problematiche dell’uomo medio contemporaneo, scindendolo nella sua integrale unità con corpi disgregati e trasformati in grande o piccolo, con primi piani come le nuotatrici con le gocce della piscina sui volti, dalla figurazione artificiale esteticamente sublime, quasi celestiale. Ecco il motivo per cui l’Istituto di scambi culturali di Tubinga ha pensato bene d’allestire una mostra sull’evoluzione della scultura contemporanea con interrogativi sulla vera natura della vita. Prezioso partner italiano è stata la benemerita e valente, scrupolosa ed industriosa nelle sue molteplici attività espositive, società Arthemisia che ha curato la prima attuazione del progetto, cui ha dato una mano pure Nicolas Ballario allargando la sezione originale con la parte dedicata agli animali, tra cui la stanza dei piccioni sulle grondaie, di Maurizio Cattelan. Queste sculture, che provengono da tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti ed all’Australia, paiono vere e suscitano inquietanti domande sul confine tra realtà ed arte. Palpabili sono le forti emozioni e le sensazioni istintive di suggestiva ammirazione, che s’avvertono nel nostro animo ed a fior di pelle con incondizionato plauso d’elogio. Tale allestimento prosegue la scia dell’incommensurabile arte visionaria cominciata con Jago e Leandro Erlich nel solco dei manufatti contemporanei per un totale di 43 mega installazioni di 29 artisti. Oltre all’artista sessantenne Cattelan di Padova con la creazione “Ghosts” dei piccioni e quella della banana “Comedian” con la rielaborazione d’una seducente donna dalla vivide e nude fattezze che prorompe dall’interno sbucciandola, ricordiamo Ron Mueck autore della gigantesca testa d’uomo “Dark Place” , i soggetti dei capostipiti Segal ed Hanson con i bagnati volti femminili di Carole Feuerman. Ci verrebbe da toccare la pelle, le barbe, i capelli e stringere le dita di quegli individui, tanto sembrano in carne ed ossa come noi fino all’ultimo che su una sedia a rotelle sfoglia il giornale, muove gli occhi, parla con voce umana credibile ed ha un piede ingessato, guardandoci sornione quasi per spiarci. Tutto è frutto nell’ultimo mezzo secolo di sempre nuove e differenti abilità di modellazione, fusione e pittura della materia, per acquisire un sempre più alto ed incisivo, suadente, grado di realismo. I modelli del corpo umano in grandezza naturale od in scala aumentata, talora riduttiva, manifestano massima verosimiglianza d’esseri umani che li osservano con incredulità struggente. I singoli e minuscoli dettagli sono plasmati con una maniacale ossessione per la perfezione reale, che produce il senso d’un’invidiabile e suggestiva “mimesis”. La Mostra s’articola in 6 sezioni, organizzate ciascuna intorno ad un tema centrale relativo alla forma. Mueck ci presenta anche creazioni scenografiche derivanti dalla passione per gli “studios” del cinema, fino alle rappresentazioni del sacro e profano, del violento, di Berlinde de Bruyckere, ai tipi fiabeschi e psichedelici di Carsten Holler, fino ai discussi Elmgreen&Dragset, per non dire di Patrizia Piccinini,John De Andrea,Brian Booth Craig e Sam Jinks. Nella prima parte intitolata “Mosse ingannevoli : Cloni umani” vi sono le creazioni realistiche di Hanson e De Andrea della fine degli anni sessanta che appaiono al visitatore persone reali per una lunga applicazione tecnica e dunque sono state il punto di riferimento per i loro successori nell’Arte del giornaliero globalizzato e realistico nelle varie forme costruttive, alla guisa di tanti mattoncini in poliestere “Lego” sofisticatamente e logicamente manipolati insieme. Da qui discende la seconda sezione denominata “Nobile semplicità : sculture monocromatiche” con figure umane di George Segal, che hanno preso il posto dell’arte astratta, di modo che la scultura iperrealista s’è sempre più affermata, pur se da principio difettava la colorazione naturale spostando l’attenzione sui pregi estetici riscontrabili soprattutto in Robert Graham e Brian Craig, che hanno mirato a ricavarne l’identità umana universale piuttosto che definirne le singole sfaccettature individuali dovute alla genetica dei cromosomi. Codesto discorso è pienamente rilevabile nella terza sezione etichettata “Pezzo per pezzo : parti del corpo.” Qui domina la Feuerman con i suoi espressivi, decisi e talentuosi nuotatori, con gli artisti che a partire dagli anni Novanta non si sono più concentrati sul “sunolon” inscindibile della persona, ma semplicemente su alcune sue parti “ad libitum”, utilizzandole per messaggi satirici o scandalistici, se non sconvolgenti, come appunto Cattelan. Egli in particolare ci ricorda il saluto nazista con tre braccia separate dal corpo secondo il noto grido” Ahi Hitler! “, che sta rinascendo in Germania con rigurgiti razziali in nome del “ primato della classe ariana”. Continuando l’analisi della destrutturazione del corpo umano s’arriva a quelli in misura ridotta della quarta sezione denominata “ Cambio di prospettiva : il corpo in scala”. Qui l’artista australiano Mueck pone l’accento sui due poli estremi dell’esistenza dell’individuo, l’Alfa e l’Omega, ovvero la nascita e la morte, a cui si collega la fragilità della vecchiaia e dell’infanzia di Sam Jinks e Marc Sijan, a cui s’è ispirata la copertina del catalogo. Invece sulla dimensione antitetica della sprorporzione esagerata si colloca Zharko Basheski che con il suo effetto di sovra volume provoca un distanziamento tra l’osservatore e l’opera d’arte. In codesta investigazione scansionale della fisicità umana non poteva mancare lo studio della menomazione ed alterazione del soggetto ed a ciò provvede la quinta parte dell’esposizione in “ La manipolazione del sé : realtà deformate”. Gli artisti in siffatto spazio sono motivati dal fatto che i progressi scientifici e la comunicazione digitale rispetto a quella analogica garantiscono una nuova percezione, quasi Kantiana, della realtà. Perciò in nome della realtà informatica e virtuale Evan Penny e Patrizia Piccinini hanno esaminato i corpi da prospettive distorte, al punto da sfidare come Tony Matelli le leggi epistemologiche e Berlinde de Bruyckere ha realizzato quell’uomo con cui si chiude la Mostra ed a cui, leggendo il “New YorK Times”, non manca nulla per essere espressivamente vero con il suo sguardo sornione ed ammiccante, che ti spia mentre lo scruti. Si resta pertanto nella convinzione della brevità e fugacità dell’esistenza umana, che quando meno te l’aspetti ti porta via con il disperato dolore dei cari congiunti come noi sappiamo bene ed in due giorni sono morti il presidente Berlusconi e la moglie dell’altro ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea che batté due volte all’elezioni il “tecnocrate” di Arcore, ovvero il prof. Romano Prodi che ha perso la diletta moglie Flavia Franzoni; quindi la “vedova nera” di Ingmar Bergmann non fa sconti a nessuno o preferenze e, quando il ciclo della vita è irreparabilmente sul piano sanitario e terapeutico finito, non c’è che da “sciogliere le ancore e veleggiare verso la patria celeste, attendere la ricompensa finale che il Signore, giusto giudice, ci darà se abbiamo creduto in Lui e ce ne siamo nutriti” secondo l’insegnamento alle Genti di san Paolo e come solennizzava domenica scorsa la Festa del “Corpus Domini”. Questo tema insieme a quello del valore e significato dell’esistenza terrena è uno dei punti chiave dell’arte scultorea iperrealista. La sesta sezione invece definita “Oltre la specie” per volontà di Ballario è riservata al regno puramente animale, attraverso esercitazioni applicative di mutazioni genetiche, innesti ed allevamenti. Ecco il gigantesco polpo dagli occhi di vetro color arancione, il rosso e mostruoso serpente con la pancia gonfia per aver appena ingoiato per intero una preda ed il poster in nero d’una lucertola che striscia sul ramo d’un albero. Insomma lo scultore ha riplasmato artificialmente una sarcastica natura a sua misura, carica di valenze allusive a quella umana, a guisa che le miriadi di piccioni di Cattelan possano equipararsi alle anime dei trapassati nel corso della Storia. Per visitare la coinvolgente ed estasiante Mostra sui limiti del reale e sull’essenza vitalistica e dinamica della finzione iperrealista, raggiunta dalla scoperta dell’enormi potenzialità dell’Arte, ci sarà tempo tutta l’Estate e fino ai primi dell’autunno, essendo la chiusura prevista, salvo proroghe, per l’8 ottobre prossimo. Non perdetela, è una novità assoluta per Roma!

Giancarlo Lungarini

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