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Triste destino per il focoso ufficiale giudiziario in “Moira, casa, famiglia e spiriti”

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Le famiglie allargate con la convivenza tra quella d’origine e la seconda formata dal matrimonio, lo stare insieme dei figli delle prime nozze dei due nuovi partner, il precariato alloggiativo degli affittuari che sono morosi non riuscendo a pagare il fitto mensile, comprare vestiti e medicine, fare la spesa,il  non trovare una camera a buon mercato nelle metropoli i fuori sede universitari che per protesta s’accampano con le loro tende davanti agli Atenei, sono scottanti tematiche all’ordine del giorno di rilevanza sociale e di ardua soluzione per il governo Meloni.Tutti questi argomenti sono stati esaminati dalla giovane scrittrice Ottavia Bianchi con il suo copione drammaturgico “Moira, Casa, Famiglia e Spiriti” il cui testo è enormemente sarcastico e paradossale , rivisitando con un’ironica combinazione tali questioni frutto di una razionalità portata su un livello illogico per lo svolgimento della trama e la sua evoluzione finale. Nello stesso appartamento si trovano in maniera allucinante insieme i parenti e gli avi ormai defunti di Moira, nome classico ellenico di valore neutro indicante la buona o cattiva sorte, che non paga l’affitto da tempo e dunque rischia lo sfratto. Infatti il proprietario ha rivendicato il rilascio dell’appartamento per protratta morosità ed il Tribunale l’ha concesso, ma l’Ufficiale Giudiziario, che s’è invaghito con un colpo di fulmine di Moira,  tenta di conquistarla trovando sempre un motivo per rinviare l’esecuzione dell’atto. Egli di nome Mario Rossi era inizialmente un  poeta autodidatta, ma poi non avendo avuto successo aveva scelto di diventare un dipendente statale per lo stipendio fisso con cui sostenere le spese della sua vita. Moira è contenta di questo stato di fatto, ma da una parte è stanca di tanta asfissiante petulanza di sopralluoghi giuridici, dettati d un secondo fine sentimentale che ella tarda a percepire, nonostante i fantasmi, gli “zombi” della casa resi vivi dal regista Giorgio Latini, la spingano a rendersi conto della situazioni e delle primarie intenzioni dell’impiegato, che solo in vista della sua partecipazione lirica alla sagra paesana della festa civile svela il suo cuore, invitando Moira a parteciparvi come spettatrice. Gli spiriti della dimora l’incitano ad andare, compreso il defunto padre Alfredo che desidera che sua figlia non resti inetta e segregata in casa con loro, bensì prenda l’iniziativa e progetti di realizzare qualcosa per nobilitare con uno scopo superiore la sua esistenza e dare gioia ed emozioni palpitanti al suo miocardio che ha un insistente corteggiatore. Moira l’unica viva in questo spazio funebre e tombale non sa che decidere, amando sia i suoi congiunti passati all’altro mondo ed ancora desti nella sua memoria, mentre li percepisce anche assurdamente,  oniricamente, vicino a lei, che il suo pretendente ostinato nel raggiungere a tutti i costi il suo obiettivo, non presagendo quello che potrebbe succedere. Gli stessi supposti morti viventi da tragico noir allucinatorio non aspirano a lasciarla in pace e staccarsi da lei cui sono ormai abituati, per cui con sconcertanti discorsi dialettici incalzanti ed atteggiamenti curiosi, intriganti e smaliziati come fosse un giallo di spionaggio del protagonista, attuano una soluzione strabiliante ed incredibile che sconvolge gli spettatori impreparati alla mossa attuata. La medesima Moira, il cui nome è tutto un programma secondo il fato greco,   resterà allibita, provando a spiegarsi l’accaduto con una metodica acribia investigativa. Per non dover scindere il suo cuore in due con il sentimento verso i “rami” del suo albero araldico e l’imperterrito incalzante Mario Rossi, che aveva fatto dominare i suoi doveri d’integerrimo dipendente statale dall’affetto per la donna piacente ,non vista unicamente quale una morosa inquilina da mettere fuori dalla dimora occupata, Moira sarà costretta ad una clamorosa reazione personale di fronte all’evento che le si para davanti. Uno spettacolo quindi che lascia il segno come impostazione originale e stravagante, surreale, partorita da una frizzante e geniale mente giovanile, prodotto dal Teatro Artigiano diretto da Pietro Longhi. Il cast degli attori reincarnati nei loro  trapassati personaggi, a parte gli innamorati Moira e MarioRossi rappresentati dall’ autrice e Giorgio Latini,  è formato da: Patrizia Ciabatta, Beatrice Gattai, Giulia Santilli. Latini è pure il regista dal discreto studio psicologico e ritratto a tutto tondo dei personaggi del fantastico e satirico, utopistico e stralunato, lavoro che potremmo ascrivere al genere del giallo inverosimile. Sarà  in replica al Manzoni vicino al cavallo di bronzo della RAI fino al 19.

Giancarlo Lungarini

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